sabato 29 giugno 2013

Parlamentari voltagabbana, altro che M5S: l’emorragia di senatori è nel Pdl, ma nessuno lo dice

arlamentari che cambiano casacca: questo è il cruccio di tutti i partiti “tradizionali” che ad ogni espulsione verificatasi all’interno del Movimento Cinque Stelle cominciano con il conto alla rovescia, sostenendo che prima o poi ne rimarrà uno solo. Quello di cui però non si tiene conto è chi effettivamente, dal 27 febbraio e rispetto alle candidature alle elezioni politiche ha perso più senatori e deputati. E stando a quanto riferiscono i dati Openpolis non è certo il partito di Beppe Grillo ad avere il saldo più negativo ma piuttosto il Pdl di Silvio Berlusconi. Da cui c’è un vero e proprio fuggi fuggi…

silvio-berlusconi-preoccupato_perde_senatori

CAMERA DEI DEPUTATI: IL GRUPPO IN MAGGIORE PERDITA È IL MISTO
Stando ai dati che ci possiamo qui consultare il gruppo misto è quello che perdendo sei deputati, si è assottigliato di più passando da 27 membri a 21. Il movimento è stato questo: i nove che ora hanno costituito il gruppo di Fratelli d’Italia si erano in un primo momento iscritti al gruppo misto. Uscendone hanno provocato un saldo di meno nove che poi si è ridotto a meno 6 con le tre fuoriuscite del Movimento Cinque Stelle che sono di Alessandro Furnari, Vincenza Labriola e Adriano Zaccagnini.
Nei tredici deputati che hanno cambiato casacca c’è anche Angela Rosaria Nissoli detta Fucsia. In primis era stata eletta con il gruppo Scelta Civica per poi passare al misto e rientrare successivamente in quello di appartenenza.
Gli altri partiti restano immobili cosa che però, come andremo ora a vedere, non accade al Senato.

SENATO: IL PD, NIENTE È COME SEMBRA
Apparentemente con un saldo negativo di -2 sembra essere il Movimento Cinque Stelle quello che ha perso un numero maggiore di Senatori.
Il gruppo misto è al secondo posto con un – 1 mentre il Pd sarebbe quello che ha recuperato di più acquistando addirittura tre senatori.
Sono però 19 i  componenti dell’assemblea di Palazzo Madama che effettivamente hanno cambiato casacca. E lo hanno fatto con cognizione di causa.
Emilia Grazia de Biasi, che risulta essere passata dal gruppo misto al Pd non è un reale acquisto per il Partito. Tutto questo perché a febbraio è stata eletta proprio nelle fila dei democratici.  Lo stesso vale per Jhonny Crosio che figura come un acquisto che dal gruppo misto passa alla Lega ma che era effettivamente candidato tra le camicie verdi.
Anche Giovanna Mangili ufficialmente passa dal gruppo misto al Movimento Cinque Stelle ma era candidata con le liste di Beppe Grillo prima di provare a dimettersi per motivi personali e vedere il proprio atto respinto.
Ancora più grave il caso di Stefania Pezzopane che ufficialmente figura come un acquisto del Pd dal gruppo misto, ma in realtà altri non è che la capolista al Senato delle liste piddine in Abruzzo. Quindi anche qui nessun acquisto per il Pd.
Idem per Renato Turano che come la collega sembra passare dal Gruppo misto al Pd. Non è così perché risultava candidato nelle liste dell’America Settentrionale.
Quindi il numero +  3 del Pd risulta falsato non dalla competenza dei colleghi di openpolis ma dalla furbizia di chi si è prima iscritto al gruppo misto per poi ritornare nei ranghi. Nessun nuovo acquisto ma soltanto transizioni temporanee. 

SENATO: L’EMORRAGIA DEL (FU) PDL
Ora controlliamo i passaggi di senatori dal gruppo misto al Gal (gruppo di senatori nato dopo le elezioni di febbraio). Si tratta di sette persone: Luigi Compagna, Giuseppe Compagnone, Giovanni Mauro, Giovanni Bilardi, Mario Ferrara, Antonio Scavone e Laura Bianconi.
Tutti e sette, come si può anche vedere negli allegati si sono iscritti al gruppo misto dopo essere stati eletti nel Pdl per poi formare il gruppo Gal. Lucio Barani invece è l’unico che ha fatto il passaggio diretto Pdl – Gal. Anche se quest’ultimo è sempre un gruppo di centrodestra resta comunque che il popolo della Libertà perde otto senatori in totale. Come anche due la Lega: Giulio Tremonti e Paolo Naccarato che passano al Gal anche loro.
Mentre il Movimento Cinque Stelle perde Adele Gambaro, Fabiola Anitori, Marino Mastrageli e Paola de Pin.

La classifica reale del Senato è quindi questa: Pdl – 8, Movimento Cinque Stelle – 4 e Lega Nord -2. E il Pd passa da + 3 a 0.
Anche se si sommano i dati della Camera il Pdl resta sempre a – 8 mentre il Movimento Cinque Stelle a – 7. Quindi il dato che il gruppo di Grillo sia quello che ha visto più esodi è quantomeno falsato.

Resta il Partito di Berlusconi quello con più esodi in assoluto. E la furbata dell’iscrizione al gruppo misto non può cancellare il dato.

venerdì 28 giugno 2013

25/6/2013 Carlo Sibilia sulle banche "Se il denaro è nostro a chi dobbiamo il debito?"

Paolo Barnard - Il Piu' Grande Crimine [INTEGRALE]

IL CONSIGLIERE DI BUSH: IL GIORNALISTA INVESTIGATIVO HASTINGS È STATO UCCISO CON UN ATTACCO INFORMATICO ALLA SUA AUTOMOBILE.

Il consigliere di Bush: Lo schianto della macchina di Hastings 'coerente con un attacco cibernetico all'automobile'



Immagine della macchina di Hastings dopo lo schianto e l'incendio

Un ex consigliere della cybersicurezza  del presidente George W. Bush afferma che un sofisticato trucco computerizzato potrebbe essere stata la causa dell'incidente automobilistico che è costato la vita al giornalista Michael Hastings la scorsa settimana a Los Angeles.

Richard Clarke, un consigliere del Dipartimento di Stato che ha assistito diversi presidenti degli Stati Uniti, ha detto che l'incidente in auto avvenuto Martedì scorso era "coerente con un attacco cibernetico alla sua macchina", sollevando nuovi interrogativi sulla morte della giornalista pluri premiato.


Hastings è morto la scorsa settimana quando il suo Mercedes C250 coupè si è scontrato con un albero a Los Angeles, in California, la mattina del 18 giugno. E 'stato riferito che viaggiasse ad elevata velocità e che non sia riuscito a fermarsi al semaforo rosso momenti prima di avere l'incidente in cui è stata coinvolta solo la sua macchina. Aveva solo 33.

Richard Clarke


Parlando con l'Huffington Post di questa settimana, Clarke ha detto che un attacco cibernetico al veicolo potrebbe aver causato la collisione fatale.

"Quello che è stato rivelato a seguito di alcune ricerche nelle università è che è relativamente facile hackerare il sistema di controllo di una macchina, e di intraprendere azioni  come  l'accelerazione quando il conducente non vuole accelerare, di premere il i freni quando il guidatore non vuole che i freni siano premuti, oppure aprire  un air bag. Clarke ha detto all'The Huffington Post che "Si possono fare alcune cose davvero altamente distruttive attualmente attraverso l'hacking di una macchina, e non è così difficile."
"Quindi, se ci fosse stato un attacco cibernetico alla sua vettura penso che chiunque l'abbia fatto  probabilmente non verrebbe mai rintracciato e la farebbe certamente franca"  ha proseguito Clarke,

La polizia di Los Angeles ha detto che non si aspettano colpi di scena in questa vicenda ma è stato comunque aperta un'inchiesta. 

In una email inviata da Hastings poco prima dell'incidente, ha riferito ai colleghi di sentirsi un bersaglio di un'indagine federale.

"Hey [omissis}, i federali stanno intervistando i miei 'amici e collaboratori più stretti'" scrisse Hastings  15 ore prima dello schianto.



"Inoltre: Sto lavorando su una grande storia, e ho la necessità di andare fuori dai radar per un po' ", ha aggiunto. "Vi auguro il meglio e spero di rivedervi tutti presto."

L'email è stata fornita a KTLA a Los Angeles dallo Staff del Sergente Joseph Biggs, che dice di aver incontrato Hastings, mentre il giornalista era stato inviato come reporter di guerra in Afghanistan nel 2008. 

"Ho solo detto che non mi sembrava lui. Non lo so, ho avuto questa sensazione e mi ha veramente dato fastidio ", ha detto Biggs KTLA.

I Giornalisti al Buzzfeed dove Hastings ha lavorato dicono di aver ricevuto una email dal loro collega, ma il Federal Bureau of Investigation ha rilasciato una dichiarazione due giorni dopo la morte di Hastings in cui affermavano di voler "soffocare le voci che stavano esaminando il giornalista, le sue inchieste e la sua morte".
Il Tweet di wikileaks


PrintScreen dell'email inviata da Hastings in cui si sentiva minacciato dall'FBI

"In nessun momento Michael Hastings è stato sotto inchiesta da parte dell'FBI," ha detto la portavoce dell'Fbi Laura Eimiller.

Secondo l'Associated Press, tuttavia, le impronte digitali di Hastings 'erano nell'archivio dell'FBI e sono state utilizzate dall'ufficio di presidenza per identificare il suo corpo dopo che le fiamme hanno consumato il relitto dell'auto la scorsa settimana.'

"Credo all'FBI quando dice che non lo stavano indagando," ha detto Clarke all'Huffington Post. "E ' molto strano, e sono sicuro che hanno controllato molto attentamente prima di affermare ciò."


"Io non sono un ragazzo che crede nelle cospirazione. Infatti, ho passato la maggior parte della mia vita, abbattendo le teorie della cospirazione," ha detto. "Ma la mia regola è sempre stata di non abbattere una teoria del complotto finché non è possibile dimostrare che sia errata. Nel caso di Michael Hastings, con le  prove a disposizione del pubblico è coerente dire che c'è stato  un attacco cibernetico alla sua auto che ne ha provato l'incidente e la morte. Il problema che è che non puoi dimostrarlo. "


Clarke, 62 anni, ha trascorso quasi due decenni al Pentagono prima di trasferirsi alla Casa Bianca dove ha prestato servizio durante la presidenza di Ronald Reagan e di entrambi i presidenti Bush. Ha servito come consigliere speciale del presidente George W. Bush sulla sicurezza informatica fino a lasciare l'amministrazione, nel 2003 ed è attualmente il presidente e amministratore delegato di Good Harbor Security Risk Management, LLC.

giovedì 20 giugno 2013

19/6/2013 Ostruzionismo al Decreto Emergenze, mezz'ora di fuoco

Briatore: “In Parlamento tanti idioti e incivili, ne bastano 50 buoni”

http://tv.ilfattoquotidiano.it/2013/06/20/briatore-in-parlamento-tanti-idioti-e-incivili-ne-bastano-50-buoni/237405/


C’è un bel numero di parlamentari idioti, ne basterebbero solo cinquanta buoni, pagati in base a quel che il mercato chiede”. Sono le parole pronunciate da Flavio Briatore ai microfoni de “La Zanzara”, su Radio24. “Questi deputati che abbiamo” – accusa – “sono una roba incivile. Dovrebbero buttarli fuori tutti. E’ una vergogna che manteniamo degli idioti così. E’ una roba aberrante”. E rincara: “In Parlamento ci sono novecento persone che dell’Italia non importa assolutamente niente, credo che ci sia un 2-3% di parlamentari perbene che lavorano per il Paese. Gli altri” – continua – “sono lì per mantenere i loro 14mila euro al mese ed è gente che sul mercato ne vale 1000”. L’imprenditore poi attacca i vertici del Pd, che, come Bersani, hanno duramente criticato il suo endorsement per Matteo Renzi: “Questa gente qui è fuori dal mondo. Questi invece di litigare tra di loro, dovrebbero pensare al Paese. Se Bersani andasse sul mercato” – prosegue – “non saprei quale sarebbe il suo valore. E’ indecifrabile, non so davvero chi potrebbe assumerlo”. Altrettanto caustica l’opinione su Walter Veltroni: “Basta vedere cosa ha fatto nella sua vita, per esempio quando gestiva l’Unità. È tutta gente ‘fantastica’, che ha messo il Paese in ginocchio”. E aggiunge: “E’ gente con la puzza sotto il naso, non si rendono conto della situazione in cui siamo, parlano solo di aria fritta“. Briatore poi parla della sua amicizia con Berlusconi e lancia una frecciata contro Beppe Grillo: “Non solo io, ma credo che tutti siano delusi da lui. Ci aveva dato un po’ a tutti una speranza e invece il suo Movimento 5 Stelle si è dimostrato come tutti gli altri, forse anche peggio”. E osserva: “Mi sembrano una roba da manicomio tutte queste polemiche sulle diarie e sui buoni pasto. Bisognerebbe spiegare a Grillo che la campagna elettorale è finita. Continua a parlare nelle piazze quasi sempre vuote

L'INCHIESTA CHE FARA' TREMARE IL GOVERNO ED IMBARAZZARE I MEDIA: BILDERBerg

lunedì 17 giugno 2013

Orrore in Turchia: la polizia schiaccia i manifestanti con le ruspe

La polizia turca del premier Erdogan ha ormai passato ogni limite e sta sprofondando il Paese nella barbarie. Scene agghiaccianti circolano nel web, come  questo video che vi mostriamo e che è fortemente sconsigliato a chi non vuole vedere scene particolarmente violente, e vietato ai minori. Per vedere il video, cliccare su questa link: http://www.fanpage.it/gezi-park-ruspe-distruggono-la-tendopoli-dei-manifestanti/ tratto dal sito www.fanpage.it.

Turchia Uomo in fiamme. Foto tratta da www.independent.co.uk
Turchia Uomo in fiamme. Foto tratta da www.independent.co.uk

Nella prima parte di questo video si vede un manifestante schiacciato da una ruspa per metà del corpo, che emette grida strazianti, mentre la ruspa non accenna ad andare indietro nonostante le urla e gli inviti e le sollecitazioni della folla intornoNel video si vede anche che alcuni poliziotti aiutano infine a tirare fuori l’uomo da sotto la ruspa.
Sempre sul web (facebook e twitter) ci sono anche denunce di cittadini turchi in tutte le lingue, sull’uso d’armi chimiche da parte della polizia turca. La notizia è confermata dai medici che denunziano l’uso di sostanze fortemente urticanti sparate dai cannoni ad “acqua”.

Uomo ucciso o gravemente ferito da un getto d'acqua e sostanze chimiche.

Uomo ucciso o gravemente ferito da un getto d’acqua e sostanze chimiche.
Ieri sera la polizia turca non si è fermata nemmeno davanti ai portatori di handicap, presi di mira ormai da giorni da violenti getti s’acqua e gas lacrimogeno al peperoncino sparati ad altezza d’uomo, anche seduti nelle loro sedie a rotelle.
L’ospedale da campo allestito dai manifestanti è stato devastato, e i feriti rimossi nel mezzo di violenze inaudite. Gli attivisti parlano anche di bambini orrendamente feriti dalla polizia.

Turchi, candele per i morti. Si contano dodici nomi solo in questa foto tratta da  da www.ibnlive.in.com

Turchi, candele per i morti. Si contano dodici nomi solo in questa foto tratta da da www.ibnlive.in.com
Lo “sgombero” di piazza Taksim e del Gezi park ha ormai preso il carattere di un massacro, sul modello delle giubbe blu contro i pacifici indiani: è una caccia all’uomo dove la polizia commette omicidi e violenze, compresi gli stupri.
Non si contano le testimonianze di violenze di ogni tipo e di veri e propri stupri di gruppo. Denunce che non hanno alcuna possibilità d’avere un seguito, se non una ulteriore punizione di chi le deposita. Il governo di Erdogan, ha infatti arrestato decine di avvocati che hanno “osato” prestare assistenza ai manifestanti, trattati alla stregua di terroristi, esattamente come i nazisti trattavano i partigiani durante l’ultima guerra mondiale.

Turchia, la polizia cerca di accecare una donna. Foto tratta dal gruppo facebook Occupy Gezi.

Turchia la polizia cerca di accecare una donna foto tratta dal gruppo facebook Occupy Gezi.
Si parla di 7500 feriti e di 5 morti sinora, ma in realtà i morti potrebbero essere già  20 o 30 e forse molti di più.
Giorni fa, sono circolate sui giornali turchi notizie di sei suicidi di poliziotti. Non è chiaro se si tratta di suicidi reali oppure di esecuzioni di poliziotti che non si sono prestati a commettere crimini contro l’umanità, sul modello dei soldati tedeschi della Wermacht quando non volevano commettere massacri su ebrei o prigionieri inermi.
Oltretutto, molti feriti in realtà sono stati resi ciechi dalla polizia che ha spruzzato gas lacrimogeno al peperoncino da distanza ravvicinatissima anche ai comuni passanti, come dimostra la più famosa foto della protesta che pubblichiamo, tratta dal sito facebook Occupy
Gezi.

Poliziotto spara ad altezza uomo da thepostointernazionale_it

E guardando il flusso di immagini si capisce che molti poliziotti potrebbero pure rifiutarsi di commettere questi crimini efferati come schiacciare la gente con i bulldozer e commettere violenze su donne e feriti, e dunque diventare vittime a loro volta.
Intanto, la graziosa sovrana d’Europa, Angela Merkel,  resta muta. L’ultimo intervento dell’altruista cancelliere tedesco, nota a tutti come il grande difensore dei più deboli, soprattutto greci e siciliani, non parla dal lontano 6 giugno di fronte all’agghiacciante escalation di violenza e orrore.

Poliziotto turco spara ad altezza uomo da www.globochannel.com

Poliziotto turco spara ad altezza uomo dawww.globochannel.com

Inadeguata anche la protesta dei vertici dell’UE che praticamente sta a guardare, tranne una mozione di condanna presentata da un esiguo numero di deputati al Parlamento Europeo e che non ha valore giuridico.
Sono pochi gli esponenti politici tedeschi realmente interessati a sostenere i diritti dei cittadini turchi. Tra questi, Claudia Roth, dei verdi, si è recata a Istanbul ed ha contribuito a diffondere le orribili notizie provenienti dalla Turchia.
Linksicilia ha deciso di tradurre questo articolo in inglese e così farlo circolare anche a scala internazionale.

venerdì 14 giugno 2013

ONU, Falk racconta gli abusi di Israele: USA e UE lo criticano

Richard Falk, Special Rapporteur per l’organo dell’ONU che si occupa della tutela dei Diritti Civili (United Nations Human Rights Council), racconta gli abusi di Israele nei confronti delle popolazioni palestinesi. Non è la prima volta che Falk elabora un rapporto in cui non usa mezzi termini per raccontare di pulizie etniche e sregolate espansioni territoriali.
Tuttavia, ci sono degli Stati che non hanno affatto apprezzato questo tipo di raccolta di dati e testimonianze: USA, UE e lo stesso Israele criticano il giurista statunitense, reo di aver compilato un “rapporto sbilanciato”.

Richard_Falk

Chi è Richard Falk?
È un giurista statunitense, professore emerito di Diritto Internazionale alla Princeton University. Fin dall’inizio degli studi, in giovane età (è nato nel 1930), ha sempre manifestato un certo livello di attivismo in ambito di tutela di diritti civili in ambito internazionale. Durante la sua carriera universitaria ha mostrato simpatie nei confronti di alcuni intellettuali comunisti e ha fatto parte di alcuni gruppi di sinistra.
Dopo una trentennale carriera di insegnamento universitario, ha iniziato a occuparsi, a tempo pieno, di ricerca e direzione di alcuni progetti che studiano il livello di tutela dei diritti umani in giro per il mondo: uno dei tanti è il progetto “Global Climate Change, Human Security and Democracy”.
Richard Falk è di religione ebrea e non è il tipico analista americano: fu uno dei più ferventi critici della legalità della Guerra in Vietnam. Già 70enne, attaccò la politica di aggressione degli USA nei confronti dell’Iraq, classificando l’attacco del 2003 come “guerra di aggressione”.
Nel 2001, ha fatto parte della Commissione per i territori palestinesi dell’Alto Commissariato per i Diritti Umani dell’ONU. Assieme a John Dougard stilò un rapporto in cui si ponevano due domande principali: quali fossero le condizione di occupazione della Palestina e i conseguenti diritti di resistenza da parte della popolazione occupata; e quale fosse il livello di protezione e tutela delle popolazioni dei territori occupati da parte del regime israeliano. Già all’epoca, le reazioni furono pessime da parte delle autorità statali direttamente coinvolte e dai consueti USA. Israele sottolineò il fatto che uno studioso che riteneva “gli assalti bombaroli suicidi un mezzo di attuazione della resistenza” e accusava Israele di provare a imporre la sicurezza tramite “terrorismo di stato” non potesse essere affidabile. Lo Stato di Israele negò l’accesso ai territori a Falk, fino alla conferenza del 2008 del Consiglio per Diritti Umani.
Nel 2008, proprio il Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU gli ha affidato il mandato di Special Rapporteur per analizzare la “situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati dal 1967″. Già durante la procedura di elezione, avvenuta per consenso, si videro alcuni schieramenti forzati da gruppi di pressione esterni: alcuni gruppi filo-israeliani (e non semplicemente “ebraici”, come alcune fonti riportano, in quanto lo stesso Falk è ebreo e la logica non tornerebbe poi così tanto) spinsero il Canada a sostenere che non era una candidatura appoggiata, ma alla quale, semplicemente, non si opponevano.
Dal 2008, Falk ha dimostrato di non avere peli sulla lingua, sia nel momento in cui ha dovuto sostenere delle battaglie per ottenere dei permessi per visitare direttamente i territori da “studiare”, sia quando ha dovuto subire attacchi mediatici e non solo da parte di Israele e Stati Uniti.
Nel 2009 mostrò grande astuzia quando, accusato di parzialità di analisi, chiese la costituzione di due gruppi che studiassero i crimini di guerra delle due diverse parti in conflitto in Palestina. All’epoca si mosse la Gran Bretagna, che sottolineò la già grande credibilità dei report compilati, nonché il dovere dello Special Rapporteur di studiare, imparzialmente, la situazione nei territori presi in analisi. Il tutto fu una sorta di conferma dell’operato fino ad allora portato avanti.
Forte della conferma dell’imparzialità dell’anno precedente, nel 2010 ha affermato che Israele pratica un regime di apartheid nel territorio palestinese. Nel 2011 ha rilanciato le accuse, chiedendo al Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU di chiedere alla Corte Internazionale di Giustizia di porre sotto inchiesta Israele per atti di apartheid, colonialismo, pulizia etnica e altri reati in contrasto con il diritto internazionale”.

Nel 2013
Il 9 giugno, Richard Falk ha presentato il suo nuovo rapporto, dove indica che gli arresti operati da Israele sono parte di un progetto di punizione collettiva nei confronti della popolazione palestinese: “Il modo in cui sono trattati migliaia di palestinesi detenuti è inquietante”. Falk parla di circa 750mila detenuti palestinesi nelle carceri israeliane, fin da momento dell’occupazione, trattati in modo non conforme al diritto internazionale. Falk parla di “torture e trattamenti inumani”.
Lo Special Rapporteur parla anche della situazione dei palestinesi che non sono imprigionati in un carcere convenzionale (usare la parola “liberi” sarebbe decisamente eccessivo): “Il 70% della popolazione sopravvive grazie agli aiuti internazionali. Il 90% dell’acqua del territorio non è utilizzabile e l’utilizzo non sarebbe, comunque, libero. Sono necessari cambiamenti drastici e urgenti si vogliamo che i palestinesi vedano riconosciuti i diritti fondamentali”.
Falk accusa UN Watch (un altro organo dell’ONU) di non operare analisi imparziali riguardo i territori palestinesi, poiché controllato da funzionari pro-Israele e oggetto di pressione di gruppi esterni indirizzati nello stesso modo.
Unione Europea e Stati Uniti criticano il metodo, perché non hanno lo spazio per poter criticare (o addirittura negare) il contenuto: le accuse nei confronti di Israele non sarebbero “bilanciate” da altrettante nei confronti dei palestinesi. Questo, secondo quanto esposto da UE e USA vorrebbe dire “sbilanciato”.
Alcuni gruppi filo-Israeliani, invece, hanno chiesto, nuovamente, le dimissioni di Falk, ricordando come, nel 2008, a breve distanza dall’incarico di Special Rapporteur, sottolinerò che gli atti messi in pratica dallo Stato di Israele nei confronti dei palestinesi erano simili a quelli operati dal regime nazista nei confronti degli ebrei prima e durante la Seconda Guerra Mondiale.

Strage via D’Amelio, Spatuzza rivelò a Grasso il depistaggio già nel 1998

In un colloquio segreto spiegò al super procuratore perché Scarantino mentì. Dieci anni prima di pentirsi il boss di Brancaccio mise in guardia lo Stato e accusò La Barbera

Pietro Grasso

Gaspare Spatuzza aveva svelato a Piero Grasso già nel 1998 che la storia della strage di via D’Amelio, come raccontata dal falso pentito Vincenzo Scarantino, era una balla. Non solo: in un colloquio investigativo rimasto finora segreto, Spatuzza aveva anche spiegato a Grasso perché Scarantino aveva mentito accusando se stesso e altri innocenti di reati mai compiuti. E aveva anche indicato il cognome del possibile responsabile di uno dei più grandi depistaggi della storia giudiziaria italiana: “Toto La Barbera” si legge nel verbale integrale che pubblichiamo su ilfattoquotidiano.it. Piero Grasso e il suo capo di allora, il procuratore nazionale antimafia Pierluigi Vigna, nel colloquio non chiedono a Spatuzza chi sia quel “Toto La Barbera”.
Ci sono due funzionari della Polizia coinvolti in questa storia con quel cognome. Il primo si chiamava Arnaldo La Barbera, era il capo del pool che ha realizzato quello che – secondo lo stesso Sarantino – era un depistaggio studiato a tavolino. Nel 1998, quando Spatuzza parla di un “Toto La Barbera” a Grasso era Questore a Napoli, e morirà nel 2002, onorato come il superpoliziotto che ha scoperto i colpevoli della strage. Poi c’è Salvatore La Barbera: oggi è capo della Polizia Postale ed è indagato anche lui a Caltanissetta per calunnia a seguito delle nuove dichiarazioni di Scarantino. Allora era un giovanissimo funzionario che dipendeva dall’omonimo più anziano. “Certo a leggere oggi quel verbale qualche rammarico viene. Forse se si fosse battuto più su questa strada alcune cose sarebbero venute fuori tempo fa e la verità su persone innocenti sarebbero emerse prima”, ha commentato il procuratore di Caltanissetta Sergio Lari.
In questi giorni si sta celebrando il nuovo processo per la strage di via D’Amelio e tra il pubblico sparuto c’è sempre seduto all’ultimo banco un signore magro con gli occhiali. Si chiama Gaetano Murana e – a causa delle false accuse di Vincenzo Scarantino – è rimasto in carcere in isolamento per 18 anni. Se i magistrati avessero ascoltato i suggerimenti di Spatuzza del 1998, sarebbe potuto uscire dal carcere dieci anni prima. Nel 1998 la condanna non era definitiva però “dopo quel colloquio investigativo non fui più richiamato da nessuno e così – ha chiosato martedì durante il suo interrogatorio in aula a Roma, Gaspare Spatuzza – ora siamo qui a rifare tutto il processo”.
Oggi, con il senno di poi, è facile dare più importanza alle parole dette nel 1998 da Spatuzza rispetto alle menzogne con il timbro della Polizia di Scarantino. Ma quel verbale non era firmato perché non era presente l’avvocato di Spatuzza. Il colloquio era “investigativo”, una sorta di corteggiamento per convincere Spatuzza a pentirsi. Essendo fallito quel verbale non vale nulla. Nonostante la richiesta dell’avvocato Flavio Sinatra, difensore di due degli imputati, Salvatore Madonia e Vittorio Tutino, la Corte mercoledì non ha ammesso il verbale tra gli atti del dibattimento. Spatuzza nel 1998 non arrivava a dire: “Procuratore Grasso sono stato io!” ma diceva: “So che qualcuno ha rubato l’auto così, l’ha preparata così e Scarantino mente”. I giudici di Caltanissetta non conoscevano queste parole quando condannavano all’ergastolo gli innocenti. Ecco perché, anche se non è rilevante dal punto di vista processuale, il verbale merita di essere riportato.
***
Grasso: Ah, così è. E quindi quelli che l’hanno avuta rubata non sanno niente?
Spatuzza: Non sanno niente poi, altri ladri l’hanno rubata a loro. Orofino (il carrozziere accusato dal falso pentito Vincenzo Scarantino di avere ospitato nella sua officina la preparzione dell’auto, ndr) non esiste questo.
Grasso: In che senso non esiste?
Spatuzza: Non esiste. Perché chi l’ha rubata, l’ha messa dentro e l’hanno preparata. (…) Lui è estraneo a tutto. Aveva subito un furto.
Grasso: Lei allora dice che Orofino non sa?
Spatuzza: Non esiste. Loro hanno questa situazione all’officina, e prendono per dire una macchina mia?
Grasso: E allora come è andata?
Spatuzza: Praticamente stu disgraziato di Orofino fu coinvolto pirchi c’iru a rubari i targhi a notti stissu.
Grasso: Anche le targhe hanno rubato? Ma allora non si è fatta nell’officina di Orofino la preparazione?
Spatuzza: Nru nru. (verosimilmente lo Spatuzza annuisce come per dire di no, ndr).
Grasso: E queste targhe di macchine a loro volta rubate?
Spatuzza: No, erano di macchine che Orofino aveva nell’officina.
Grasso: Orofino aveva le macchine, vanno a rubare nell’officina di Orofino la targa che lui aveva dentro in riparazione. Dopo la usano per metterla nella macchina dell’autobomba, cosi è?
Spatuzza: Si
Grasso: Che viene preparata in un altro luogo, e non nell’officina di Orofino. E Scarantino in questa cosa che cosa che c’entra?
Spatuzza: Non esiste completamente .
Grasso: Non partecipa completamente?
Spatuzza: Non esiste.
Grasso: E scusi, com’è che allora le cose che lui ha detto che sa?
Spatuzza: Lui era a Pianosa, ha ammazzato un cristiano che doveva ammazzare, e ci ficiru diri chiddu ca nu avia adiri. Toto La Barbera.
Poi Grasso chiede dell’altro falso testimone di accusa, Andriotta. Spatuzza replica: “ ma, di… vieninu chisti? Si sono rifatti di nuovo pentiti? Tutti questi cinque nella stessa cordata, evidentemente”. Una cordata di falsi pentiti scoperta 10 anni dopo.

http://www.slideshare.net/ilfattoquotidiano/gaspare-spatuzza-trascrizione-interrogatorio-del-260698

mercoledì 12 giugno 2013

Draghi supera se stesso


CIR DraghidebitoSi rimane sempre più basiti per certe dichiarazioni fatte da personaggi che rivestono ruoli di rilievo nelle istituzioni finanziarie, in particolare se queste dichiarazioni sono rilasciate addirittura dal capo (formale) della più importante istituzione finanziaria europea, che è la BCE.

Questi signori (del denaro) fanno finta di non sapere che quello che loro chiamano debito pubblico degli stati (e che pure noi per ignoranza ci siamo lasciati convincere a chiamare in questo modo) nasce per ragioni strutturali: gli stati non possono stampare la moneta che usano, ma sono costretti e obbligati a prenderla in prestito dal sistema bancario (con a capo, formalmente, la BCE) che la crea dal nulla e la presta a interesse.
Questo meccanismo contiene implicitamente in sé l'impossibilità di restituzione del relativo debito.
Infatti, per via degli interessi, gli stati dovrebbero restituire più carta-moneta di quella che ricevono in prestito. Inoltre, poiché la carta-moneta è indispensabile alla vita economica della comunità (si potrebbe dire che ne rappresenti il sangue), segue che gli stati non possono nemmeno privarsi di quella ricevuta in prestito.
La conseguenza di ciò è che il debito pubblico aumenta inevitabilmente nel tempo. Inoltre, esso segue un andamento più o meno esponenziale, in quanto il debito è calcolato con la formula dell'interesse composto (ANATOCISMO). Allora? E' un debito questo? Nooooo, questa è una truffa, è una rapina!! E' la più grande rapina della storia dell'umanità, è la più grande truffa della storia dell'umanità! Pertanto, questo debito è illegittimo ed immorale. Come si fa a restituirlo? E' fisicamente e matematicamente impossibile restituirlo! Il debito pubblico, è inestinguibile!

Alla luce di queste considerazioni, l'affermazione del governatore della BCE (se non ci sono errori nel riportarla) "Non può esserci crescita con una creazione infinita di debito" appare veramente ridicola, dal momento che il sistema stesso di cui lui è formalmente a capo è congegnato proprio in modo da creare debito all'infinito.
Poi arriva l'avvertimento: "prima o poi si viene puniti ed è esattamente quel che è successo"! In realtà, lo scopo di questi signori (i signori del denaro) è che lo Stato svenda sue proprietà per restituire questo debito inesistente! A questo mirano: appropriarsi di beni reali della comunità in cambio di carta che loro creano dal nulla. Per poi, ovviamente, dare origine a un nuovo ciclo di indebitamento.

Per questo si rimane veramente senza parole di fronte alla disinvoltura con cui persone, come Mario Draghi, che non possono non essere al corrente di questo meccanismo, se ne escano con affermazioni che rappresentano invece una negazione del fatto stesso.
Queste dichiarazioni fanno breccia e trovano consenso in quelle persone (purtroppo molte) che si sono fatte ingannare dal falso luogo comune che l'esistenza del debito pubblico sia conseguenza del fatto che lo Stato si è comportato come una famiglia che ha speso troppo, che è vissuta al di sopra delle sue possibilità, che ha sperperato e che per questo ha dovuto indebitarsi. Quante volte l'abbiamo sentito ripetere in televisione da personaggi del sistema, come per esempio Giuliano Amato!
Perché questo è un falso?
Perché fra lo Stato e una famiglia esiste una differenza fondamentale: lo Stato è sovrano, una famiglia no! Semplice! Senza scendere in dettagli, possiamo asserire che una famiglia può indebitarsi perché non può stamparsi la propria carta-moneta, invece lo Stato, in quanto sovrano, può stampare la carta moneta di cui necessita (rispettando ovviamente delle regole).
Quello che è successo nell'Eurozona è che agli stati è stata sottratta la loro sovranità, all'insaputa dei rispettivi popoli. Il signor Mario Draghi dovrebbe spiegarci come mai la BCE crea denaro e lo presta alle banche commerciali al tasso di interesse dello 0,5% e queste lo prestano agli stati (che non sono liberi di fare altrimenti) a tassi 10 volte maggiori! Questa è una truffa nella truffa.

Anonymous #IAG attacca Bersani e pubblica i conti del PD

11 giu – Questa notte prima delle 02:00 Anonymous#IAG defaccia il sito della Fiom di Milano,
http://www.fiom.milano.it/
ma non si limita ad un semplice defacciamento, ma inserisce nel sito dati di Bersani che sono visibili a tutti pubblicamente.


“Oggi Anonymous #IAG è Th3_S3c Hackers ha deciso di rendere pubblici i versamenti illegali ricevuti da Bersani. Lo facciamo nel sito del sindacato in quanto ancora più forte arriverà il nostro grido di battaglia: “Apocalisse..!!” non è ancora finita.
Siamo in possesso di tutti i vostri database….
Le vostre bugie da ora in poi saranno pubblicate. Versamenti illegali per svariate centinaia di migliaia di euro. Versamenti poco chiari. Due soli donatori di cui uno versa la somma di 9999,00 per volta (ID 9 ) questo per evitare il controllo fiscale che ne deriva quando si passa la soglia dei 10 mila euro. Anonymous #IAG vuole chiarezza come la vogliono i vostri iscritti e i votanti del PD. Non ci fermeremo…!! d’ora in poi pubblicheremo qualunque cosa nefandezza da voi compiuta nei confronti della povera gente. Rivoluzione digitale”

Anonymous #IAG

Letta:"Noi non possiamo stampare moneta"




12 giu – E così, il buon Enrico Scendi..Letta ha calato ufficialmente le brache. Non che non ce lo aspettassimo, ma per noi un po’ romantici, un po’ ingenui, un po’ guasconi della politica, rappresenta pur sempre un brusco ed inequivocabile risveglio dal sogno della Sovranità.
A Santa Margherita Ligure ha dichiarato :” Condivido le parole di Squinzi…faremo di tutto per evitare l’aumento dell’IVA…ma non possiamo stampare moneta”.
Il problema è però che sotto le brache dello ScendiLetta, non c’è il suo culo: ma il nostro.
Egli infatti, comunque andranno le cose, continuerà a percepire il suo lauto stipendio e ad andare alle periodiche riunioni del Bildergerg dove, insieme ad altri della sua specie, continuerà a contribuire a decidere dei destini della gente, culi compresi.
La stampa della moneta, checché ne dica il trattato di Maastricht, è la chiave di volta per la soluzione della crisi: che crisi non è, ma bensì un nuovo assetto definitivo ed in via di ulteriore aggravamento, di tutto il sistema finanziario, economico e, appunto, monetario. Il quale ci costringe, e ci costringerà sempre più in futuro, a tagliare gli stipendi, ad allungare l’età pensionabile, a ridurre le pensioni dei nostri figli e nipoti, ad eliminare quasi totalmente lo Stato Sociale, ad un perenne stato di precarietà e di sudditanza.
Insomma: ad una condizione di vita sempre più miserevole.
Tutto giustificato dal fatto che la finanza sta passando a riscuotere gli illeciti interessi dell’enorme mole di capitali da essa inventati. Creati dal nulla!
Il rinnegato ScendiLetta ed i suoi accoliti, stanno per l’ennesima volta prendendoci in giro, cercando di dimostrare di fare “qualcosa” per rimediare alla tragica situazione in cui tutti  i precedenti governi ci hanno cacciato e nella quale Monti ci ha definitivamente seppellito.
Giocare su cifre risibili di uno o due miliardi di euro per trovarne la copertura, con un PiL di un Paese che ne produce 1600 all’anno, e considerando che, come per la cassa  integrazione, sono necessari per salvare la vita di molte persone,  è semplicemente blasfemia.
Mentre U.S.A, Giappone e Gran Bretagna sfornano dollari, yen e sterline a fiumi e se ne sbattano altamente del “rigore” di quella deficiente della Merkel, con esportazioni che vanno a mille ed inflazione quasi inesistente.

Edward Luttwak: l’Italia esca dall’euro o non si riprenderà più

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Edward Luttwak non è certo l’ultimo arrivato, visto che è uno dei più importanti economisti americani. Oggi ha rilasciato un’intervista a Il Giornale sulla situazione economica italiana. Gli scenari non sono affatto ottimisti per il nostro paese, se la nostra classe politica non deciderà che è arrivato il momento di dire Goodbye Mr. Euro.

Perché uscire dall’euro?

Perché – dice Luttwak – l’euro è letale per la nostra economia, soffocata e con nulle prospettive di crescita: l’euro mette al primo posto il pareggio di bilancio e l’abbattimento del deficit e del debito pubblico. Davanti a questi obiettivi, le uniche politiche possibili sono solo tagli pesanti e pressione fiscale; e non per qualche mese o anno, ma per decenni. In altre parole, con l’euro ci siamo messi un cappio al collo. La nostra è un’economia zombie.

Uscire dall’euro per tornare alla lira?

In effetti, Luttwak non lo ritiene indispensabile. Si potrebbe persino adottare la valuta thailandese. Un mercedes costerebbe un occhio della testa, ma l’economia italiana riprenderebbe a vivere, le esportazioni riesploderebbero e l’occupazione salirebbe. Naturalmente, non senza grandi difficoltà e sacrifici, che dovrebbero essere affrontati se mai si prendesse una simile decisione.

Conseguenze dell’uscita dall’euro.

A parte una inevitabile rivitalizzazione della nostra economia, le banche fallirebbero. E questo potrebbe essere il motivo per cui si vuole salvare l’euro a tutti i costi. Ma il fallimento delle banche – precisa Luttwak – non pregiudicherebbe affatto i conti correnti. I risparmiatori sarebbero comunque al sicuro.

L’euro è importante per l’Italia o l’Italia è importante per l’euro?

Nessuna delle due, dice Luttwak. Gli italiani dovrebbero guardare al loro interesse prima di tutto; come hanno fatto gli inglesi che non sono entrati nell’euro perché hanno ritenuto che i loro interessi non coincidevano con quelli della Germania, che mai sarà disposta a modificare le condizioni di adesione alla moneta unica.
Infine, una bellissima frase che io condivido pienamente. Alla domanda del giornalista sul fatto che a Luttwak proprio non piace l’euro, lo studioso risponde: “Non mi piace un’oligarchia che trova normale prendere i soldi dai conti correnti degli individui, di notte, come fanno i ladri“.

12/6/2013 Alessandro Di Battista "Siamo in guerra e ci fa schifo"

Un piano del terrore: la ‘ndrangheta dietro a Preiti?

“Francamente, a me la storia di Preiti, così come ce l’hanno raccontata, non ha mai convinto. Un disadattato che decide di fare un atto eclatante in segno di disperazione? No, non mi sembra proprio”. Parla convinto Luigi Bonaventura, ex ‘ndranghetista di spicco, reggente del clan Vrenna-Bonaventura di Crotone, che dal 2006 ha deciso di collaborare con la giustizia. Parla convinto, eppure nella sua voce non c’è arroganza: “Sia chiaro – precisa subito – che tutto quello che dirò non lo dirò per volermi sostituire agli investigatori, che fanno egregiamente il loro mestiere. Il collaboratore di giustizia non è un mago che risolve i casi, o un professore che arriva a spiegare come sono andate le cose. Il punto è che quando hai vissuto in una determinata mentalità criminale fin dalla nascita, quando hai sparato e ordinato di sparare, quando hai avuto a che fare per anni con dei corpi riservati e azioni del genere le hai pianificate ed eseguite, certe anomalie ti risultano più evidenti. Le annusi subito”.

Corpi riservati?
La ‘ndrangheta se ne serve moltissimo. Sono criminali non necessariamente affiliati o organici all’organizzazione. Persone che possono essere reclutate all’occorrenza per commettere attentati, e che di solito sono pronti a morire nel corso di queste missioni. Persone spesso disperate, ma molto preparate. Dei kamikaze, insomma. Ecco, a me Preiti sembra rispondere perfettamente a questo identikit. E di certo le sue origini potrebbero essere un’ulteriore conferma di questa teoria.

E perché?
Innanzitutto, so per certo che la famiglia Preiti è vicino ad ambienti legati alla ‘ndrangheta. E poi non dimentichiamoci che a Rosarno c’è da sempre una situazione un po’ particolare.

Si spieghi meglio.
Da sempre a Rosarno ci sono dei clan molto propensi a ricorrere alla violenza e ad atti eclatanti. Clan che agiscono spesso autonomamente, senza il consenso di tutta l’organizzazione. Diciamo che non sono stati molto inquadrati. Però stavolta la cosa sembra diversa, e non a caso Preiti non è partito dalla stazione di Rosarno, ma da quella di Gioia Tauro.

Un segnale? O voleva semplicemente farsi riprendere dalla videocamera di sorveglianza?
Sicuramente lui sapeva che alla stazione di Gioia Tauro sarebbe stato ripreso da quella videocamera. Ma qui il messaggio è un altro, e ben più importante. Se io da Rosarno devo raggiungere Roma in treno, non ha alcun senso che io vada in auto fino alla stazione di Gioia Tauro. Il fatto che Preiti lo abbia fatto, significa che si voleva far sapere a tutti che il suo gesto folle non era stato deciso solo dai clan di Rosarno, ma aveva il consenso di tutta la mamma [nel gergo ‘ndranghetistico, l’organo di controllo supremo dell’organizzazione criminale, ndr]. Gioia Tauro è il centro del mandamento della Piana: aver lasciato la macchina lì equivale ad affermare che il vertice assoluto della ‘ndrangheta ha approvato.

Questo significherebbe che la ‘ndrangheta ha intenzione di inaugurare una stagione di destabilizzazione? C’è un progetto preciso?
Più volte, dopo esser diventato collaboratore di giustizia, ho avuto incontri con finti pentiti che descrivevano prospettive inquietanti. In particolare, nel 2011, fui abbordato due volte da esponenti della cosca De Stefano-Tegano, [le ‘ndrine che controllano Reggio Calabria, ndr], che cercavano di reclutarmi e di corrompermi. Mi parlarono di un piano del terrore che sarebbe stato messo in atto, un piano contro magistrati e forze dell’ordine, teso a destabilizzare. E si vantarono di avere a disposizione truppe di criminali pronte ad ammazzare e a farsi ammazzare. Ecco, quando ho appreso dell’attentato di Preiti, non ho potuto non ripensare a quegli incontri.

Ma perché l’idea che Preiti possa semplicemente essere un disoccupato, magari anche mentalmente instabile, non riesce proprio a convincerti?
In realtà è proprio se penso a Preiti come un disperato che i conti non tornano. Se io non avessi un lavoro e non riuscissi ad arrivare a fine mese, perché dovrei partire il giorno prima dell’attentato e pagare un pernottamento in hotel, anziché prendere il treno la mattina stessa? E poi c’è la pistola: se fossi in condizioni economiche così disastrate, la prima cosa che farei sarebbe andare a rivendere una pistola, comprata al mercato nero, che vale da sola almeno 1200 o 1300 euro. Senza contare che quella non è una pistola qualunque. Si tratta di una 7 e 65 Pietro Beretta, modello A 35, usata già nella Seconda Guerra Mondiale, e spesso data in dotazione alle forze dell’ordine. La canna è facilmente estraibile: basta aprire il carrello, e con un colpo la si fa uscire; ed è per questo che è comoda anche da sostituire, ad esempio con una calibro 9 corto. È l’arma preferita dalla ‘ndrangheta, che infatti quando vuole lasciare una firma, spara sempre con quel modello lì, anche perché di fatto non si inceppa mai. Ha un solo difetto: non è molto precisa. E questo la dice lunga sulle capacità di questo Preiti, che va bersaglio quattro volte sparando sette colpi. Un’efficienza incredibile: io con quell’arma ho sparato decine di volte, e le assicuro che non è facile andare a bersaglio con tanta precisione, soprattutto in una situazione così concitata come quella, e soprattutto per uno che dice di aver mai sparato prima.

Poco credibile, in effetti.
E non solo: Preiti sapeva perfettamente che doveva sparare da vicino, perché quel modello di Beretta non è precisa a grande distanza. E sapeva anche, o almeno sospettava, che i carabinieri dovevano avere una qualche protezione al torace, magari un giubbotto antiproiettile. E guarda caso lui ne colpisce uno al collo e uno alla gamba. Una freddezza pazzesca. Viene da chiedersi dove abbia imparato a sparare così bene. Una cosa è indubbia: se vivi a Rosarno, non puoi certo metterti ad esercitarti al tiro al bersaglio, perché è praticamente impossibile non richiamare l’attenzione di chi, su quel territorio, ha il controllo assoluto. E poi, ancora, perché, se sono incensurato, devo comprare un’arma al mercato nero, con una matricola abrasa?

Ecco, perché?
Per un solo motivo: perché so già, fin dal giorno in cui la acquisto, che quell’arma mi servirà per uccidere. Altrimenti non ha alcun senso: Preiti era incensurato, poteva benissimo ottenere il porto d’armi e comprare regolarmente una pistola, se davvero intendesse usarla per difesa personale. Anche perché niente gli avrebbe vietato di utilizzarla, un domani, per fare una rapina. I disperati fanno così. Non comprano una pistola al mercato nero, tra l’altro con la matricola abrasa.

Possibile che l’abbia cancellata Preiti stesso, la matricola, magari con la punta di trapano che è stata ritrovata nel suo borsello?
Lo escludo. Non ci si inventa autodidatti per certe cose: punzonare un’arma è un lavoro da professionisti. Soprattutto per fare in modo che, come in questo caso, a distanza di settimane gli inquirenti non riescano a risalire alla matricola originale: per lavori del genere si usano liquidi speciali, ci servono attrezzature apposite e una certa manualità. Impossibile farlo soltanto con una punta di trapano. Secondo me, ma questa è una mia ipotesi, quella punta di trapano è stata messa lì per confondere le acque, per sviare le indagini.

Nel borsello è stato trovato anche un cellulare.
Con una carta SIM intestata ad un extracomunitario. Gli appartenenti alle organizzazioni criminali sono soliti ricorrere a questo sistema, per rimanere invisibili e non lasciare tracce, mentre discutono di traffici e di progetti.

Nelle interviste che hanno rilasciato, i familiari sembravano sinceramente sconvolti. Erano molto lontani dall’immaginario comune della tipica famiglia ‘ndranghetista.
Vero. Ma molto spesso, mi creda, quando fai quel mestiere lì, i tuoi familiari non ti conoscono affatto. Soprattutto se sei un corpo riservato. Tra l’altro sembra che lui sia uscito di casa senza il borsello con cui poi è stato ritrovato davanti a Palazzo Chigi. Dove lo ha preso? Chi glielo ha dato? Anche questo, a mio avviso, potrebbe essere un indizio importante. E poi c’è la questione della cocaina. Se davvero Preiti aveva quel vizio, è impossibile che non fosse in contatto con ambienti criminali, specialmente se pensiamo che a Rosarno le ‘ndrine controllano anche lo spaccio in maniera capillare.

In molti potrebbero accusarti di alimentare, con questa sua lettura dei fatti, il luogo comune, un po’ meschino, per cui tutti i calabresi, in un modo o nell’altro, hanno a che fare con la ‘ndrangheta.
Non è assolutamente vero. La Calabria è piena di persone per bene, onesti lavoratori. E lo stesso vale per Rosarno. Ma il punto è proprio questo: nessuna persona per bene, nessuna persona che non sappia di godere della protezione della ‘ndrangheta potrebbe anche solo pensare di partire da Rosarno e fare un atto del genere. Significherebbe condannare a morte non solo se stessi, ma anche la propria famiglia.

Ma qual è il segnale che voleva lanciare la ‘ndrangheta, allora?
Difficile dirlo. Però sicuramente un messaggio è arrivato chiaro: il fatto che Preiti, subito dopo esser stato immobilizzato, ha dichiarato che aveva intenzione di far fuori un uomo delle istituzioni, significa che la ‘ndrangheta ha lanciato un segnale a tutta la politica. Secondo me, Preiti è andato diritto contro il bersaglio che aveva designato: lui voleva ammazzare i carabinieri, quella mattina. Ma è evidente che non era un segnale di odio contro le forze dell’ordine; è alla politica che era diretto, quel segnale.

Un attentato politico, quindi?
Be’, certamente dei risultati li ha ottenuti subito, visto che molti giornali hanno immediatamente collegato quell’atto col clima di odio fomentato ad arte da un certo movimentismo politico. Ma preferisco comunque non entrare direttamente in questi risvolti.

Quest’attentato arriva poche settimane dopo la lettera inviata a Nino De Matteo, nella quale si dice chiaramente che non si può mettere il Paese in mano a comici e froci. Potrebbe essere il segnale che la ‘ndrangheta, e le altre organizzazioni criminali, vogliono ottenere qualcosa dallo Stato?
Guarda, quando la ‘ndrangheta alza il tiro è sempre perché vuole arrivare ad aprire una trattativa. Che ormai è una parola abusata. Quando si parla di trattativa si pensa spesso, perché così ci hanno abituato a fare, ad un grande tavolo in cui tutti si riuniscono per prendere chissà quali accordi. In Italia la trattativa si vive ogni giorno, tra lo Stato e le mafie: è fatta spesso più di silenzi che di parole, si regge su taciti accordi. Quando si spara, di solito, è perché si vuole arrivare ad una rinegoziazione.

Intervista realizzata il 15 maggio 2013

martedì 11 giugno 2013

FMI, mea culpa sulla Grecia: l'austerità era sbagliata.

"My bad!" direbbero gli anglofoni, "Colpa mia". Due semplici parole che nascondono una reazione molto complessa: si riconosce l'errore commesso e si promette che non ricapiterà ma, allo stesso tempo, non ci si vede come del tutto -volutamente- colpevoli e quindi 'soprassediamo' e 'non pensiamoci più'. Questo è quanto emerge dal documento "strettamente confidenziale" del Fondo monetario internazionale, letto dal Wsj, inerente il salvataggio della Grecia.
 
'Abbiamo fortemente sottovalutato', sembra dire il succo del discorso nel paper, 'i risvolti negativi delle misure di austerità che noi stessi abbiamo imposto alla Grecia, a margine del piano di salvataggio'. Si è tirata troppo la corda con Atene, insomma, creando strappi nel tessuto economico ancora più profondi di quelli aperti dalla crisi stessa. E' il paradosso, l'eccessiva dose di 'medicina' che intossica il paziente. La condizionalità imposta alla Grecia è stata, oltre che irragionevole, anche distruttiva: finalmente, anche se in maniera ufficiosa, il Fondo ammette le proprie colpe. Il rapporto "strettamente confidenziale" in questione porterebbe ad una tanto banale quanto importante conclusione: i futuri ipotetici salvataggi NON seguiranno le linee guida imposte ad Atene. E meno male. Il paper parlerebbe di un salvataggio che comunque avrebbe "dato più tempo all'area euro per costruire una cortina di protezione a beneficio di altri Paesi vulnerabili, evitando effetti potenziali gravi per l'economia globale"  il tutto, aggiungiamo noi, a spese della Grecia. La decisione del salvataggio greco è stata, letteralmente, permeata dall'incertezza: i dubbi legati alla mossa erano "così significativi che lo staff era incapace di garantire che il debito pubblico fosse sostenibile con una elevata probabilità".  La facciata ufficiale della vicenda, quella che mostrava una convinta Lagarde parlare di un debito assolutamente "sostenibile",  era -semplicemente- un gigantesco bluff: anche il Fondo navigava a vista in un burrascoso mare -economico- immerso nella nebbia.
A quanto detto fino ad ora, poi, si aggiunga il colpevole ritardo della ristrutturazione del debito greco nel 2012: quei due anni passati, dal primo salvataggio da 110 miliardi di euro nel 2010, sono stati un inutile (e deleterio) vantaggio dato alla Crisi. Una ristrutturazione immediata, si ipotizza nel documento, sarebbe costata molto meno a tutta l'Europa e avrebbe -potenzialmente- potuto arginare più efficacemente quell'effetto domino tra le economie.
Sottovalutati i rischi (ed i danni) e sopravvalutata la capacità di ripresa: questo è il sunto delle decisioni prese dal Fondo sul 'caso Grecia'.
Intanto Atene lotta con tutte le forze per riprendersi da una grave crisi accentuata dal 'Dottor Tersilli' di turno che, dietro un sorrisetto 'ingenuo', afferma candidamente: "Colpa mia!".

La polizia entra a Taksim: le prime notizie della mattinata

Eccoli.
Da questa mattina, poco dopo che la luce dal sole ha iniziato ad illuminare l’immensa città dei due continenti,
agenti antisommossa, TOMA, onde tossiche, idranti, manganelli e armi da fuoco hanno iniziato ad avanzare per ripulire il Gezi Park, che da più di una settimana sempra una piccolo stato a parte, liberato e resistente.
A Tarlabaşı, un TOMA in fiamme
“Fuori la polizia”, “Taksim è ovunque, la resistenza è ovunque”, “Governo: dimissioni”
chi sta resistendo in piazza dimostra tutta la sua determinazione, quella che in questi giorni abbiamo imparato non solo per le strade di Istanbul, ma in quelle di tutte le grandi e meno città turche: malgrado le folli e provocatorie dichiarazioni di Tayyep Erdogan, quello che sembra palese è che c’è una generazione che non vuole tornare a casa,
ma continuare a masticare i marciapiedi, marciando verso una libertà totalmente diversa.
La nottata nella sola città di Ankara è trascorsa con ore ed ore di scontri.
Rimanendo focalizzati su Istanbul: a Tarlabaşı ad Harbiye, a Istiklal Caddesi,  la battaglia è pesantissima e la resistenza di piazza sta rilanciando al mittente migliaia di lacrimogeni e gas urticanti, oltre ad aver formato una catena umana (gestita dalla “Taksim Dayanismasi) che cerca di rendere fruibile a chi vuole la fermata metropolitana, invasa dal fumo, ma poi chiusa dal governo: la polizia da ore cerca anche di bloccare tutti gli autobus che dalle altre zone della città raggiungono Taksim e quell’area.
L’intenzione è isolare i manifestanti, con la stupida illusione che questo sia possibile blindando una zona della città e rendendola totalmente inadatta alla respirazione e alla sopravvivenza: non sarà così che fermeranno questa rivolta.
Son loro ad essere circondati.
Da qualche minuto a questa parte si è passati massicciamente all’uso di pallottole di gomma: dalla parte opposta oltre alla miriadi di sassi in volo e di candelotti boomerang, un largo uso di fuochi d’artificio aiuta a tener TOMA e celere minimamente distanti. Poveri alberi di Taksim, completamente gasati.

Video shock Turchia: un Poliziotto spara in testa a un manifestante e fugge

Francesca Salvador: basterebbe nazionalizzare anche una sola banca

Grecia: il governo chiude Ert, tv di Stato. “Stop alle trasmissioni da martedì”



Grecia: il governo chiude Ert, tv di Stato. “Stop alle trasmissioni da martedì”

Si tratta dell'unico caso in Europa dove non ci sarà più una televisione pubblica. Oltre 2800 lavoratori in esubero. Syriza: "L'emittente appartiene al popolo greco". Il giornalista Deliolanes: "Dà fastidio perché fa concorrenza ai canali privati e cerca di fare corretta informazione"



Colpo di stato? Ennesimo fallimento nel fallimento? Fatto sta che nella Grecia sventrata da tre memorandum e dall’ammissione di colpevolezza di un Fondo monetario internazionale che dice di aver sbagliato i conti del risanamento, accade una primizia europea se non mondiale: il governo decide di chiudere la televisione di stato Ert, ma con il paradosso che l’allarme per la malagestione è lanciato dallo stesso funzionario responsabile di quell’amministrazione, ovvero il portavoce del governo Simos Kedikoglou. “Il governo ha deciso di chiudere Ert – ha annunciato tra lo sgomento dei 2800 lavoratori in esubero-. Si fermano le trasmissioni alla mezzanotte di martedì”.
La situazione è particolarmente tesa, anche perché già da stasera cadrà ufficialmente il segnale televisivo e radiofonico dell’emittente pubblica. Sdegnate la reazione dalla maggior parte dei partiti del paese. Il Syriza di Tsipras parla del “culmine di un ritiro strategico e di un degrado di radiodiffusione pubblica da parte del governo. Ert, però, non appartiene al governo, ma al popolo greco, che paga chiedendo di essere un modello di media indipendenti e pluralistici”. A breve previsto un comizio dello stesso Tsipras fuori dalla sede nazionale di Agios Paraskevi ad Atene, oltre a un presidio per tutta la notte assieme ai lavoratori, che hanno reagito con ira e lacrime già per le strade. Si tratta dell’unico caso in Europa dove non ci sarà più una televisione pubblica.
“In Grecia come è noto c’è un problema estremamente delicato – spiega al fattoquotidiano.it Dimitri Deliolanes, da trent’anni corrispondente in Italia di Ert – perché dall’avvento dei canali privati, dal 1989 in poi, c’è un intreccio fortissimo tra appaltatori e fornitori pubblici da un lato, e informazione dall’altro. Tre categorie racchiuse nella stessa persona, per cui è urgente mettere sotto controllo l’informazione. La tv pubblica dà fastidio per due motivi: in primis perché fa concorrenza a quelli privati e in secondo luogo perché cerca nel suo piccolo di fare corretta informazione”. Poi l’affondo all’esecutivo guidato da Samaras e cosiddetto delle larghe intese con la troika: “Ciò non è più sopportabile da un governo legato mani e piedi agli interessi privati. É una misura assolutamente incomprensibile”. Ma non è tutto, perché l’aspetto più divertente, aggiunge Deliolanes mentre da casa sua è impegnato in questi minuti in un servizio montato in versione fai da te, è che “il portavoce del governo, Kedikoglu, nel suo proclama ha addotto come motivo di chiusura il fatto che Ert non fosse amministrata bene. E lo dice proprio lui che è il responsabile politico di quell’amministrazione”. L’ennesimo paradosso di questa crisi assurda.

mercoledì 5 giugno 2013

Roma, fermate ed espulse la moglie e la figlia di un oppositore al regime kazako

Mukhtar Ablyazov, marito della donna e padre della bambina, è il principale avversario del regime dittatoriale di Nursultan Nazarbayev, detenuto e torturato secondo due diversi rapporti di Amnesty. Gli avvocati: "Si tratta di extraordinary rendition, ossia cattura illegale". Ma il ministro della Giustizia Cancellieri risponde: "Procedura perfetta"

Figlia Mukhtar Ablyazov
“Tra il 29 e il 31 maggio a Roma si è verificata un’operazione di “extraordinary rendition” (azione illegale di cattura, ndr) nei confronti di una donna e di una bambina di sei anni, prelevate a casa e poi costrette, contro ogni convenzione nazionale e internazionale, a imbarcarsi su un aereo che le ha portate in Kazakistan“. Questa la versione degli avvocati difensori, secondo cui le due sono state condotte nel Paese dove Mukhtar Ablyazov, marito della donna e padre della bambina, è il principale oppositore del regime dittatoriale di Nursultan Nazarbayev, e per questo detenuto e torturato secondo la ricostruzione di due diversi report di Amnesty international risalenti al 2003  e al 2004 e da dove è riuscito a scappare nel 2009, rifugiandosi prima a Londra e poi, probabilmente, in Italia.
“Mi sono subito informata, le procedure sono state perfette, tutto in regola e secondo legge”, ha replicato il ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri. La questione era finita anche sul tavolo del ministro dell’Interno Angelino Alfano che rispondendo ai giornalisti al termine della visita a Casal del Marmo, ha ribattuto: “Non possiamo che prenderne atto”.

Il passaporto della moglie di Mukhtar Ablyazov, Alma Shalabayeva

La riconduzione della donna e della bambina verso un Paese in cui non vi è alcuna richiesta di estradizione pendente nei loro confronti – spiegano gli avvocati – rischia di apparire un atto illegale, e di aprire numerosi interrogativi sul perché il governo italiano si sia adoperato con così tanta celerità nel consegnare la famiglia di un oppositore politico nelle mani del suo principale avversario. Il cui unico merito è governare in maniera dispotica un territorio ricchissimo di risorse naturali, di cui l’Eni è uno dei principali partner commerciali.
Della vicenda si è occupato anche il Consiglio italiano per i rifugiati (Cir) il cui direttore Christopher Hein ha dichiarato: “Se la procedura sorprende per la modalità con cui si è realizzata, la cosa che ci preoccupa in maniera fortissima è la possibilità che la signora Shalabayeva possa subire nel suo Paese trattamenti disumani o violazioni dei suoi diritti umani. Questo è secondo noi un rischio molto concreto”. Il Cir ha poi comunicato di aver coinvolto il ministro degli Esteri Emma Bonino in modo da raccogliere informazioni più dettagliate sull’accaduto e preparare interventi appropriati.
Ma ricostruiamo i fatti. Tutto comincia la notte del 29 maggio, quando una cinquantina di uomini armati della Digos fanno irruzione in una villa di Casal Palocco, una zona dell’Agro romano. Un’operazione in grande stile. Eppure, trovano solo una signora che presenta un passaporto diplomatico della Repubblica Centro Africana, subito sospettato di essere falso. La signora è Alma Shalabayeva, moglie di Ablyazov, che in assenza di un valido titolo di soggiorno è quindi immediatamente trasferita nel Centro di identificazione ed esplulsione (Cie) di Ponte Galeria sulla base di un decreto prefettizio di espulsione. Con una celerità burocratica che gli avvocati della donna definiscono “sospetta”, proprio mentre i legali discutono del provvedimento di custodia nel Cie, a Ciampino arriva l’aereo che permette l’immediata esecuzione del decreto di espulsione, nonostante i rischi concreti che la donna corre nel territorio kazako e di cui le autorità sono al corrente a causa dell’attività politica del marito. Inoltre, senza considerare che il Kazakhstan è uno Stato che a parere di molte Ong e della Corte Edu non tutela i diritti umani, Alma Shalabayeva nel giro di 48 ore è accompagnata all’aeroporto di Ciampino dove la aspetta in pista il jet pronto a trasportarla in Kazakistan. Configurando così una possibile violazione dall’art 19 del testo unico sull’immigrazione per cui “in nessun caso può disporsi l’espulsione o il respingimento verso uno stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione (…)”
Ma non è finita qui. Di mezzo c’è anche la figlia della donna: una bambina di sei anni, che frequentava la scuola in Italia, e che il 31 maggio è prelevata nella stessa villa dalle mani della zia, contro la volontà della famiglia, e portata all’aeroporto di Ciampino, dove è imbarcata con la madre per il Kazakistan. Un atto necessario per rimpatriatala madre stessa in osservanza alle convenzioni internazionali che tutelano i diritti dei minori. “Un fatto di una gravità inaudita – spiega l’avvocato Riccardo Olivo, legale della donna insieme con colleghi dello studio Vassalli – la signora Shalabayeva non ha commesso alcun illecito e ora insieme alla figlia si trovano esposte all’elevatissimo rischio trattamenti disumani, analoghi a quelli cui fu sottoposto il marito in patria”.
Un necessario passo indietro. Sul banchiere Mukhtar Ablyazov pendono mandati di cattura sia in patria che in Russia (di cui il Kazakistan di Nazarbayev è uno dei più fedeli alleati). E anche nel Regno Unito, dove Ablyazov si è rifugiato nel 2009, è stato condannato a pagare oltre un miliardo di sterline per diverse frodi finanziarie. Proprio il Regno Unito gli ha concesso asilo politico nel 2011, ma l’ufficio del procuratore generale kazako l’anno scorso ha avanzato formale richiesta di estradizione, cui le autorità britanniche non hanno ancora risposto.
Il giorno che moglie e figlia sono state spedite dall’Italia al Kazakistan, Ablyazov ha scritto sul proprio profilo Facebook: “Il rapimento della mia famiglia è stato ordinato dal presidente Nazarbayev, che ha cambiato strategia e dalla repressione politica è passato a sequestrare ostaggi”. Nurdaulet Suindikov, portavoce della Procura generale kazaka ha risposto ringraziando le autorità italiane e ha detto che la signora Alma Shalabayeva è ai domiciliari nella sua residenza di Almaty, sotto inchiesta per avere corrotto ufficiali kazaki per ottenere passaporti falsi per sé e per la famiglia.
Secondo un articolo del Daily Telegraph, nel 2010 il Kazakistan aveva avvisato la Gran Bretagna che nel caso fosse stato concesso asilo politico ad Ablyazov avrebbero chiuso i lucrativi contratti con le compagnie britanniche e li avrebbero dirottati verso la Cina. Detto che l’Eni, azienda parastatale italiana attiva nell’estrazione e nel commercio di energia, petrolio e gas naturali, è una delle compagnie che maggiormente opera in Kazakistan. Attiva dal 1992, continua a stringere accordi di cooperazione con il regime di Nazarbayev di cui l’ultimo è del 2012 e si riferisce all’immenso giacimento di Karachaganak. Ora è compito della magistratura italiana e dei ministeri competenti fugare tutti i dubbi.

Riducono la bolletta per rispettare il referendum sull’acqua. Hera chiude i rubinetti


Riducono la bolletta per rispettare il referendum sull’acqua. Hera chiude i rubinetti
C’è un’isola che si chiama come il regno di Ulisse, ma si trova alle porte di Modena. Benvenuti a Itaca, piccolo condominio di periferia dove a decidere il prezzo dell’acqua potabile sono gli inquilini. In tutto dodici famiglie, una trentina di persone tra bambini, anziani e coppie, che da oltre un anno si rifiutano di pagare la bolletta per intero, trattenendo da ogni rata circa il 18% della somma totale. Una percentuale pari alla remunerazione del capitale.
La chiamano “obbedienza civile” e non ha niente a che vedere con la crisi e con l’esigenza di risparmiare: “La nostra è una battaglia di democrazia, vogliamo solo che venga rispettato l’esito del referendum di due anni fa”. Anche se la multiutility Hera, che gestisce il servizio idrico in gran parte dell’Emilia Romagna, non ci vede proprio niente di simbolico. Anzi, guarda al portafoglio. E per questo ha ingaggiato con i residenti di Itaca un braccio di ferro senza esclusione di colpi, arrivando a mettere per sei ore i sigilli ai contatori.
L’iniziativa fa parte della campagna nazionale lanciata un anno e mezzo fa dai Comitati per l’Acqua bene comune, per invitare i cittadini a non versare quella quota che corrisponde al profitto del gestore idrico (a Modena il 18.92% della bolletta). L’unico modo, secondo i promotori, per rendere concreto l’esito del voto del referendum del 2011 sull’acqua pubblica. Una protesta a cui il condominio modenese ha aderito in massa, trasformandosi, raro caso in Italia, in una sorta di zona franca. Tremila metri quadrati tra giardini e appartamenti, dove il peso delle bollette lo stabiliscono gli abitanti.
Non vogliamo essere considerati come dei morosi, tutte le altre bollette vengono sempre pagate in tempo, fino all’ultimo centesimo”, ci tiene a chiarire Carla Costantini, una degli inquilini di Itaca. “È chiaro che noi lo facciamo solo per una ragione politica”. Anche perché la cifra risparmiata in un anno, da tutti i residenti di Itaca, è ben poca cosa: 500 euro. “Qui non sono in ballo i soldi, ma la volontà popolare che si è espressa con il voto del giugno 2011. Una volontà che è rimasta completamente lettera morta, nel silenzio di tutti. Solo in Italia può accadere una cosa del genere”.
E nonostante anche il sindaco di Modena, Giorgio Pighi, abbia invitato al dialogo, chiedendo di non trattare i residenti di Itaca come semplici morosi, Hera, la holding che si occupa di gas, rifiuti, luce e acqua, ha optato fin dall’inizio per la linea dura. “In questi mesi ha provato più volte a dissuaderci, a volte anche mandando dei tecnici per ridurre il flusso dell’acqua”, racconta Carla. “Ma è la prima volta che arrivano a chiuderci completamente i rubinetti”. Il condominio è rimasto all’asciutto meno di mezza giornata, anche grazie alle proteste degli inquilini. Appena si sono accorti di non avere più acqua, infatti, hanno alzato la voce facendo irruzione in consiglio comunale. “Non è pensabile che questa situazione vada avanti all’infinito. Quella di Hera è una prova di forza che non le porta nessun vantaggio”.

martedì 4 giugno 2013

Taormina: “Ho fatto assolvere un parlamentare criminale della Dc”

Carlo Taormina


"Quale è il più grande criminale che ho difeso? Un parlamentare democristiano della Prima Repubblica. E’ ancora vivo ed era un grande criminale, l’ho fatto assolvere“. Sono le parole rilasciate da Carlo Taormina ai microfoni de “La Zanzara”, su Radio24. L’avvocato ed ex parlamentare di Forza Italia non vuole però rivelare il nome del politico: “Non dico chi è, altrimenti vado in galera. Vi assicuro che era un criminale e lo sapevo benissimo. Ora non è più in Parlamento”. E aggiunge: “Sono molto contento che sia stato assolto, perchè quando posso fottere i giudici sono tranquillo“. Questa dichiarazione scatena il dissenso impetuoso di Paolo, un radioascoltatore di Novara, col quale Taormina ha un accesissimo scontro. “Sono stanco di sentire in questa trasmissione i soliti falliti” – protesta Paolo – “persone che non fanno altro che ripetere le solite cazzate. Taormina vada da Barbara D’Urso a fare il buffone“. Furibonda la reazione del legale di Fiorito, che replica a suon di frasi colorite come “vada a morì amazzato due volte”, “che ca…o dice”, “chi ca..o sei” e “testa di ca…o”. Il radioascoltatore accusa anche i conduttori di fare “i forti coi deboli” e punta il dito contro David Parenzo: “Urli parlando di Mandarà e non sprechi il tuo fiato per attaccare Taormina dopo quello che ha detto”. E chiede insistentemente all’avvocato chi è il parlamentare democristiano “criminale”. Taormina ribadisce di non voler rivelare l’identità del suo ex assistito e chiede polemicamente: “Ci dici che ca..o di lavoro fai? Fai l’imbecille? Sei un morto di fame e invidioso. Ma vaff…, và. Questo è uno str…zo, lasciamolo perdere”. E ribadisce: “Fottere la magistratura è la cosa più bella che uno possa fare”



http://tv.ilfattoquotidiano.it/2013/06/04/taormina-ho-fatto-assolvere-parlamentare-criminale-della-dc/235399/

domenica 2 giugno 2013

Due giugno, la festa della Repubblica che spende 5,4 miliardi per armarsi




I due milioni di euro per la parata militare “sotto tono” del 2 giugno – l’anno scorso era costata 2,6 milioni – sono solo la ciliegina sulla torta delle spese militari italiane, che quest’anno ammontano a 17,64 miliardi di euro. Una cifra gigantesca, in linea con gli anni passati, che se per oltre metà va a coprire i costi del personale (9,68 miliardi per gli stipendi di 177.300 persone) e della manutenzione di infrastrutture e mezzi (1,55 miliardi), per il resto serve a finanziare le missioni militari all’estero (un miliardo nel 2013, per due terzi destinati alla guerra in Afghanistan) ma soprattutto l’acquisto di nuovi aerei e navi da guerra, nuovi carri armati e nuove bombe, per un spesa totale che quest’anno sfiora i 5 miliardi e mezzo di euro.
Una corsa al riarmo che sembra dettata non da esigenze di difesa del territorio, ma dalle ambizioni prestigio nazionale che animano i nostri generali, oltre che dagli interessi economici dell’industria bellica. Del resto, “la quantità e l’operatività delle forze armate dipende dalle ambizioni nazionali”, spiega in un’intervista a Rivista Italiana Difesa il capo di stato maggiore dell’esercito, generale Claudio Graziano. E se l’Italia si ritiene “una grande potenza”, come dichiarato pochi giorni fa dal ministro della Difesa Mario Mauro, non si può badare a spese.
Quindi, le risorse per i nuovi armamenti devono saltar fuori, anche a costo di continuare a sottrarre preziose risorse dai bilanci di ministeri ‘civili’ che oggi più che mai dovrebbero essere investite nel rilancio dello sviluppo economico e sociale del paese. Dei 5,4 miliardi di spesa in armamenti per quest’anno, 3,18 miliardi provengono dalle casse della Difesa ma 2,18 miliardi sono fondi del ministero per lo Sviluppo Economico (che inoltre finanzia per intero le missioni all’estero) e 42 milioni provengono addirittura del ministero dell’Istruzione.
Vediamo nel dettaglio, iniziando dal programma bellico più oneroso messo a bilancio quest’anno: l’acquisizione di altri sei aerei da combattimento Eurofighter Typhoon, per la bellezza di 1,19 miliardi. La Difesa ci mette solo un obolo da 51,6 milioni: tutto il resto lo paga il ministero per lo Sviluppo Economico1,14 miliardi (cento milioni in più dell’anno scorso). E altrettanto pagherà sia il prossimo anno che quello dopo, per altri dodici aerei. Dal 2005 fino al 2022 il programma Eurofigter avrà dirottato dallo Sviluppo Economico l’esorbitante cifra di 6,28 miliardi di euro. Un regalo alla Difesa deciso nel lontano 1997 dall’allora ministero dell’Industria Pier Luigi Bersani (art. 4, legge 266/1997, meglio nota come Legge Bersani).
Si deve invece a Claudio Scajola - che nel 2005, quando era ministro delle Attività Produttive, fece inserire un comma ad hoc in Finanziaria – il sostegno integrale del ministero per lo Sviluppo Economico all’acquisizione di dieci fregate multi-missione (Fremm) per la marina militare. Tale programma, il secondo più costoso per il 2013, prevede per quest’anno una spesa di 655,3 milioni,  interamente a carico del Mise, che il prossimo anno ne verserà altri 449,3 e  quello successivo 514,3: in tutto, tra il 2006 e il 2022, ben 2,89 miliardi di euro saranno stati dirottati dal dicastero economico verso questo programma bellico navale. Cui presto se ne aggiungerà un altro da 4,5 miliardi per l’acquisizione di dodici navi da combattimento costiero (Lcs) polifunzionali ancora in fase di progettazione:  anche queste, vista la loro natura “dual-use”, saranno con tutta probabilità pagate con fondi del ministero per lo Sviluppo Economico.
Gli altri programmi di riarmo cofinanziati dal Mise sono le nuove bombe di precisione per i Tornado (con 100 milioni solo nel 2013), i carri armati ruotati Freccia (99,7 milioni), gli elicotteri Nh-90 (82 milioni), i caccia da addestramento M-346 (36 milioni), la digitalizzazione delle forze armate – programma Forza Nec (30 milioni), gli elicotteri Aw-101 (21,5 milioni) e i satelliti spia Sicral-2 (15,1 milioni). I contributi pluriennali stanziati per questi programmi dal ministero dello Sviluppo Economico per il periodo 2006-2024 ammontano complessivamente a 3,14 miliardi di euro.
Alcuni stanziamenti sono però destinati a lievitare, e di molto. Il già citato programma Forza Nec, ad esempio, nei prossimi cinque anni richiederà una spesa di 9,5 miliardi e alla sua conclusione, nel 2031, ci sarà costato addirittura 22 miliardi di euro. Un patrimonio dedicato esclusivamente all’ammodernamento tecnologico delle forze di “proiezione”, vale a dire quelle da impiegare nei futuri interventi militari all’estero. Scriveva nel 2006 l’allora capo di stato maggiore Di Paola: “La trasformazione netcentrica delle forze armate italiane, operante in analogia a quanto avviene nei principali paesi alleati, rappresenta un’esigenza assolutamente prioritaria e ineludibile. Se non lo faremo, resteremo inesorabilmente tagliati fuori dalla possibilità di interoperare nelle missioni multinazionali e scadremo a un livello che, certamente, non corrisponde al ruolo e alle responsabilità del Paese”.
Passiamo ora alle spese militari del ministero dell’Istruzione. A scuola, università e ricerca – cui la neoministro Maria Chiara Carrozza ha appena risparmiato tagli per 75 milioni – quest’anno vengono sottratti, tramite il Cnr, 50 milioni di euro (5 quest’anno e il resto nel prossimo biennio) per l’acquisizione di una nave da guerra che servirà a fornire supporto alle forze speciali e a scorrere i sommergibili. Altri 97 milioni (37 quest’anno e 30 ognuno dei prossimi due anni) sono destinati dal Miur, attraverso l’Agenzia spaziale (Asi), al cofinanziamento del programma satellitare militare Cosmos-Skymed: nello stesso triennio la Difesa sborserà da parte sua solo 27,5 milioni. Questo programma prevede per la sua prosecuzione nei prossimi cinque anni che, accanto ad altri 175 milioni a carico della Difesa, il ministero dell’Istruzione sganci altri 330 milioni di euro: cifra per ora non disponibile e quindi momentaneamente congelata.
Oltre ai programmi di riarmo cofinanziati da ministeri civili, ci sono poi tutti quelli esclusivamente a carico della Difesa (qui sotto l’elenco completo), tra i quali l’acquisizione dei famosi cacciabombardieri F-35, contro i quali Sel e Cinquestelle hanno appena presentato una mozione parlamentare snobbata dal Pd. Per dotarci di novanta di questi costosissimi velivoli (giudicati dallo stesso Pentagono inaffidabili e inferiori a qualsiasi potenziale aereo nemico) spendiamo mezzo miliardo quest’anno, 535,4 milioni l’anno prossimo e 657,2 milioni quello dopo. Nei prossimi dieci anni il programma F-35 ci costerà altri 10 miliardi secondo la Difesa, almeno 15 miliardi secondo stime indipendenti, senza tenere conto degli incalcolabili costi di manutenzione. Una spesa irrinunciabile – secondo il capo di stato maggiore della Difesa Luigi Binelli Mantelli – per non essere “esclusi” dai futuri interventi militari all’estero. Come se fosse quello il terreno di confronto per misurare il progresso e il prestigio della nostra Repubblica. Quella stessa Repubblica di cui – in uno dei suoi messaggi alla nazione – Pertini ebbe a dire: ”Si svuotino gli arsenali e si colmino i granai!”.

TABELLA SPESE MILITARI: http://www.slideshare.net/ilfattoquotidiano/tabella-spesemilitari