domenica 31 marzo 2013

Nuovo governo, ecco le schede dei dieci saggi nominati da Napolitano

Il presidente della Repubblica sceglie dieci personalità per mettere a punto le riforme istituzionali. Tutti uomini nessuna donna. E tutti legati alla vecchia nomenkaltura del potere che ha portato il nostro Paese sull'orlo del baratro


Nessuna donna e alcuni over 70 tra i saggi scelti da Giorgio Napolitano. Nominando le dieci personalità anche da Bankitalia, Istat e Antitrust, il presidente della Repubblica mostra di affidarsi alle istituzioni. Ma la mancanza di una figura femminile ha suscitato molte polemiche.

LE SCHEDE DEI DIECI SAGGI

Luciano Violante
Nato a Dire Daua (Etiopia), 71 anni; nell’ambito della trattativa Stato-mafia è stato interrogato dalla Procura di Palermo riguardo a quando nel 1993, in veste di presidente della commissione antimafia aveva richiesto all’allora ministro dell’Interno Nicola Mancino (oggi indagato per falsa testimonianza nell’ambito dell’indagine sulla trattativa) la trasmissione della relazione elaborata dagli analisti della Dia il 10 agosto del 1993 sulle stragi di via Palestro a Milano e di San Giovanni a Velabro a Roma. Relazione che Mancino gli trasmise prontamente il 14 settembre, accompagnandola con una nota in cui specificava come si trattasse di materiale “riservato” su cui vigeva il regime della “vietata divulgazione”. Nel 2003, da capogruppo Ds alla Camera, parlando di Salvatore Cuffaro, allora presidente della Regione Sicilia, ha detto: “Noi lo contestiamo perché governa male, il problema delle incriminazioni riguarda lui, i suoi avvocati e i giudici”. Diventato celebre il suo discorso alla Camera nel 2003 in cui ricordò che la sinistra non fece la legge sui conflitti d’interesse e non dichiarò ineleggibile Berlusconi.

Valerio Onida
Nato a Milano, 77 anni; giudice costituzionale dal 1996 al 2005, attualmente è professore di Diritto Costituzionale presso l’Università degli Studi di Milano. Dal 22 settembre 2004 al 30 gennaio 2005 è stato presidente della Corte Costituzionale. Nel 2010 si è candidato alle primarie del centrosinistra per le elezioni a sindaco di Milano, arrivando terzo con il 13,41% dei voti, dietro a Giuliano Pisapia e Stefano Boeri. È stato presidente dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti ed è presidente del comitato direttivo della Scuola Superiore della Magistratura.

Mario Mauro

Nato a San Giovanni Rotondo (Foggia), 51 anni; prima Forza Italia, poi Pdl e attualmente capogruppo al Senato di Scelta Civica, è uno dei nomi di punta di Comunione e liberazione, fino alle ultime elezioni vicinissimo a Roberto Formigoni. Laureato in filosofia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, è stato vicepresidente del Parlamento europeo e presidente dei deputati del Pdl a Bruxelles.

Gaetano Quagliariello
Nato a Napoli, 52 anni; senatore Pdl, è stato il secondo firmatario del disegno di legge sul processo breve. Nel gennaio 2011 ha firmato, insieme a Roberto Formigoni, una lettera aperta per chiedere ai cattolici italiani di astenersi da qualsiasi giudizio morale nei confronti di Silvio Berlusconi, imputato (all’epoca indagato) per concussione e prostituzione minorile nel processo Ruby. Ha recentemente accusato i magistrati del processo contro Nicola Cosentino: “Nei confronti di Nicola Cosentino la magistratura ha dato prova di una notevole capacità di contorsionismo: prima Cosentino doveva andare in carcere in quanto parlamentare e/o candidato, ora pur non essendo parlamentare deve andare in carcere lo stesso”.

Enrico Giovannini
Nato a Roma, 55 anni; dal 2009 è presidente dell’Istat, dal gennaio 1997 al dicembre 2000 ha assunto la direzione del Dipartimento delle Statistiche economiche. Nel 2001 aè stato nominato Chief Statistician e Direttore della Direzione statistica dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE).

Giovanni Pitruzzella
Nato a Palermo, 53 anni; dal 29 novembre 2011 è presidente dell’Antitrust, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato. La sua nomina ha suscitato le polemiche visto che colui che dovrebbe, tra le altre cose, vigilare sul conflitto d’interessi di Silvio Berlusconi, è un amico di Schifani: consigliere, avvocato, socio di famiglia. Dal 1998 è professore ordinario di Diritto costituzionale all’Università di Palermo dove è anche docente nella Scuola di specializzazione in Diritto europeo. Esperto nel diritto dei pubblici appalti, in giustizia costituzionale, nel diritto pubblico regionale e nel diritto pubblico dell’economia, ha ricoperto numerosi incarichi fra cui quello di consulente giuridico presso la presidenza del Consiglio dei ministri durante i governi Ciampi e Dini e presso la presidenza della Regione siciliana per le giunte Capodicasa, Cuffaro e Lombardo.

Salvatore Rossi
Nato a Bari, 64 anni; è vice direttore generale del direttorio della Banca d’Italia e membro del direttorio integrato dell’Ivass, l’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni. Dal 2011 fa parte del Consiglio di presidenza della Società italiana degli economisti. Dal maggio 2012 è membro del Consiglio di amministrazione della fondazione del Centro internazionale di studi monetari e bancari (ICMB) di Ginevra. Dal gennaio 2013 è membro del Comitato strategico del Fondo strategico italiano.

Giancarlo Giorgetti
Nato a Cazzago Brabbia (Varese), 46 anni; parlamentare alla Camera dei deputati dal 1996 con la Lega. Sino al 2004 ha ricoperto la carica di sindaco di Cazzago Brabbia. Nel 2001 è il principale promotore della Legge 40 sulla procreazione assisistita. Capogruppo per la Lega Nord alla Camera dei Deputati per la XVII legislatura e segretario nazionale della Lega Lombarda dal 2002 al 2012. Dal 2001 al 2006 ha ricoperto il ruolo di presidente della Commissione Bilancio, Tesoro e Programmazione. Durante il secondo governo Berlusconi è stato, dal 12 giugno al 21 giugno 2001, Sottosegretario alle infrastrutture e ai trasporti. Il suo nome era comparso nelle carte dell’indagine Antonveneta, dove, però, non risultò tra gli indagati. Mette a verbale Gianpiero Fiorani: sulla scrivania di Giorgetti alla Camera, erano arrivate alcune mazzette da parte dell’ex patron della Banca Popolare di Lodi che, però, sarebbero state restituite al mittente. Giorgetti, secondo la versione di Fiorani, ci aveva quindi ripensato, ma aveva invitato il banchiere a finanziare il Varese calcio.

Filippo Bubbico
Nato a Montescaglioso (Matera), 59 anni; senatore Pd ed ex sottosegretario del governo Prodi, indagato per abuso d’ufficio perché nel 2005, quando faceva parte dell’ufficio di presidenza del Consiglio regionale della Basilicata, ha affidato all’’esterno, per 23.869 euro, una consulenza sulla riorganizzazione del Consiglio che, secondo la procura, le risorse interne avrebbero potuto portare a termine senza alcun problema «in considerazione –del titolo di studio posseduto e della figura professionale rivestita». Ora dovrà risponderne davanti ai giudici della Corte dei Conti della Basilicata e anche davanti al Tribunale ordinario dove rispondono di abuso d’ufficio.

Enzo Moavero Milanesi
Nato a Roma, 58 anni; è il ministro per gli Affari Europei del governo Monti. E’ stato giudice di primo grado presso la Corte di giustizia dell’Unione europea in Lussemburgo e ha collaborato con la Commissione europea in qualità di direttore generale del Bureau of european policy advisors. Durante il primo governo Amato si è occupato di risanamento degli enti pubblici. Nel 1994 Ciampi lo ha nominato sottosegretario agli Affari europei. Dal 1995 al 2000 è stato scelto da Mario Monti, al tempo commissario europeo, come capo gabinetto, prima alla concorrenza e poi al mercato interno. Dal 2002 al 2005 è stato vice segretario generale della Commissione europea.

Napolitano sceglie 10 saggi per riformare il Paese, ma vince la vecchia politica - Il Fatto Quotidiano

Altro che dieci “saggi”. Quelli che ha tirato fuori Napolitano dal cilindro per scrivere la road map di riforme essenziali per il Paese sono i soliti noti. Forse il peggio dei soliti noti, se possibile. Eppure, sorprendentemente, saranno loro a dover costituire il “tesoro” di idee e provvedimenti su cui il prossimo Presidente della Repubblica si dovrà basare per formare (forse) un nuovo governo. C’è di che restare senza parole. Sono nomi che rappresentano gli assi portanti di quell’antico sistema politico e istituzionale che ha portato l’Italia nel baratro in cui si trova oggi. Lentamente ma sistematicamente. E adesso siamo di nuovo nelle loro mani.
A destare scandalo è soprattutto la commissione cosidetta “politico-istituzionale”. E fatto salvo il nome di Valerio Onida, costituzionalista di area piddina, sugli altri corre rapido un brivido lungo la schiena. A partire da Luciano Violante, con tutto il suo passato partitocratico alle spalle, simbolo della storia più antica (e non sempre limpida) del Nazareno (ma nel suo caso si potrebbe parlare meglio di Botteghe Oscure). E poi Mario Mauro, uomo di Monti (e di Cl, fino alle ultime elezioni vicinissmo a Roberto Formigoni) che qualcuno voleva a presidente del Senato al posto di Pietro Grasso, di cui non si ricordano negli anni particolari exploit legislativi nel segno del cambiamento.
Ma soprattutto Gaetano Quagliariello, ex vicecapogruppo del Pdl al Senato, uomo delle leggi ad personam di Silvio sulla giustizia, dunque personaggio di stretta osservanza berlusconiana, primo tra i soldati di prima fila del Cavaliere e (anche lui) personalità su cui l’intero centrodestra si sarebbe speso per fargli avere una carica istituzionale. Dopo quello che ha fatto per loro. E per il suo Capo. Ecco, Mauro è l’uomo di un Monti che continuerà a governare l’Italia nonostante i disastri economici e le figuracce cosmiche internazionali (i Marò) e Quagliariello è un portabandiera di Arcore. Davvero non c’era nulla di meglio sul mercato? Davvero è questo la summa della intellighenzia politica che Giorgio Napolitano ha saputo esprimere in un momento tanto drammatico per la democrazia? Cosa potranno mai studiare di nuovo queste cariatidi politiche del sistema? Che avranno mai da tessere e rinnovare elementi che mai sarebbero stati eletti davvero dal popolo se non ci fosse stato il Porcellum? L’unica cosa che possono partorire, a ben guardare, è un inciucio codificato sotto forma di programma da servire freddo sul piatto del prossimo presidente della Repubblica come unica via per avere un nuovo governo. D’inciucio, s’intende, non certo di rinnovamento.
Ma anche l’altra commissione, quella chiamata a studiare le emergenze economiche e sociali del Paese, non è meno inquietante. Si parte da Enrico Giovannini, presidente dell’Istat, istituto che continua a fotografare lo stato del Paese senza aver mai suggerito una misura utile al suo sviluppo neppure per sbaglio e di Giovanni Pitruzzella, presidente del’autorità garante della concorrenza e del mercato, istituto abbastanza inutile se si considera che in Italia, com’è noto, non c’è una legge sul conflitto d’interessi degna di questo nome, per cui l’operato del Garante è stato fino a oggi abbastanza oscuro. Ma si resta ancora senza parole quando lo sguardo arriva ai nomi di due degli altri membri della commissione; uomini strettamente legati uno a Monti e l’altro alla storia del Pci, ovvero ministro Moavero Milanesi e il senatore Filippo Bubbico. E che anche il terzo, Salvatore Rossi, membro del Direttorio della Banca D’Italia, è “cresciuto” dopo l’entrata in scena del governo Monti. Insomma, il “sistema” al potere che viene chiamato a rinnovare se stesso. Un paradosso
Napolitano, proponendo questi nomi, ha certamente deluso le aspettative di chi, soprattutto tra i giovani della politica anche in Parlamento (e non stiamo parlando solo dei grillini) si aspettavano una scossa. Invece, Napolitano oggi è tornato ad essere quel “Morfeo” di grillesca memoria, che trovandosi nell’impossibilità di fare alcunchè per partorire un nuovo governo, ha deciso di “addormentare” il sistema con questa sorta di “bicamerale ghiacciata” composta da chi, come si diceva, è in alcuni casi l’emblema di tutti ciò che gli italiani vorrebbero lasciarsi alle spalle. Insomma, il capolavoro di Napolitano è questo: Monti resta al suo posto (e chissà per quanto tempo) e per il resto è stata mandata letteralmente la palla in tribuna, fermando il gioco. Un’astuzia da antico politico, quale certamente Napolitano è, che ha anche archiviato senza scosse l’era Bersani, facendolo uscire di scena in modo netto, senza appello. Per quanto molto morbido.
Intanto, si è aperta ufficialmente la crisi del Pd, i cui esiti saranno certamente drammatici, ma non è questo certo il punto. Il vero scontro, quello più acceso, si giocherà sulla successione al Qurinale. E il Parlamento si trasformerà in un Vietnam. Insomma, il Capo dello Stato, ancora una volta, ha messo la sordina al cambiamento, fischiando il “tutti negli spogliatoi” e lasciando la patata bollente di riscattare, in qualche modo, il Paese dal torpore all’uomo del Colle che verrà. I supplementari, se ci saranno, li giocheranno (loro, i partiti) tutti con un altro arbitro. Che si troverà però vincolato al suo predecessore dal patto di sistema che verrà sancito in questa “bicamerale”. E sarà ancora un inciucio. Senza sbocco. Ma il prezzo di questo stallo e di questo “nuovo” che avanza e continua a dettar legge puzzando di polvere e di muffa ci costerà (a noi, cittadini) ancora moltissimo.

martedì 19 marzo 2013

Papa Francesco, i due volti di Bergoglio tra fede e militari

La prima volta che scrissi dell’attuale papa Francesco fu nel 1999, quando assunse l’incarico di arcivescovo di Buenos Aires. Dissi che “a seconda della fonte che si consulti, è l’uomo più generoso e intelligente che abbia mai detto messa in Argentina o un machiavellico fellone che tradì i suoi fratelli spinto da un’insaziabile ambizione di potere. Forse la spiegazione risiede nel fatto che Bergoglio riunisce in sé due caratteristiche: è un conservatore estremo in materia dogmatica e possiede una manifesta inquietudine sociale. In entrambi gli aspetti somiglia a chi lo designò alla guida della principale diocesi del Paese, il papa Karol Wojtyla”.
La decisione del collegio cardinalizio è stata adottata con la consapevolezza che pesano su di lui gravi accuse di aver consegnato i suoi sacerdoti alla giunta militare. Già nel Conclave del 2005, aveva ottenuto una buona quantità di voti, nonostante il fatto che un dossier contenente parti della mia indagine su di lui fosse stato collocato in un centinaio di casellari dei cardinali da una qualche fazione che voleva sbarrargli il passo. Quando l’elezione era in una fase di impasse, Bergoglio decise di ritirarsi e di appoggiare Joseph Ratzinger. Nella prima conferenza stampa successiva al Conclave della settimana scorsa, il suo portavoce Federico Lombardi, gesuita come lui, ha convocato i giornalisti per dire loro che le accuse erano calunniose e provenivano da un giornale di sinistra anticlericale. È stata una cattiva giocata dell’inconscio, che il papa non è riuscito a controllare nonostante i suoi studi di psicologia. L’accusa di essere “di sinistra” è la stessa che Bergoglio fece 37 anni fa contro i sacerdoti Orlando Yorio e Francisco Jalics, che a conseguenza di ciò vennero sequestrati e torturati nel campo di concentramento clandestino della Marina argentina. Il papa non apprende né dimentica.
La realtà è che l’accusa a Bergoglio fu scritta da una delle sue vittime, Orlando Yorio, in una lettera inviata al superiore della Compagnia di Gesù nel 1977. E la sua caratterizzazione come il pastore che consegna le sue pecore al lupo la fece nel 1986 un uomo della Chiesa, Emilio Mignone, la cui figlia fu sequestrata insieme a quei sacerdoti ma, mentre loro furono liberati cinque mesi più tardi, la ragazza, una catechista di 22 anni, non è più ricomparsa. Il quotidiano Pagina12, la sinistra anticlericale a cui si riferisce il portavoce vaticano, riprese quel caso nel 1999. Questo accadde quattro anni prima dell’insediamento del presidente Néstor Kirchner, la qual cosa smentisce anche l’idea secondo cui qualunque critica al papa dev’essere attribuita al governo di Cristina Kirchner. Il Vaticano ha anche sottolineato che il sacerdote Francisco Jalics si era riconciliato con Bergoglio. In realtà, Jalics ha detto di essere in pace con Bergoglio e riconciliato con i fatti, che si era lasciato alle spalle. Ma si è rifiutato di giudicare il ruolo del papa in quei fatti. La riconciliazione è un sacramento che consiste nel perdonare il male. Lungi dal negare i fatti, li conferma. Se non fosse esistita l’offesa, Jalics lo avrebbe detto apertamente e non avrebbe avuto niente da perdonargli. Ricordo che esistono prove documentali del doppio gioco di Bergoglio, che trovai nell’archivio del Ministero degli Esteri mentre indagavo per uno dei miei libri. La prima è una lettera che Bergoglio presentò con timbro e firma chiedendo una procedura d’eccezione perché Jalics potesse rinnovare il suo passaporto dalla Germania, dove ancora oggi vive.
La seconda è la nota del funzionario che ricevette la richiesta e che suggerisce di rifiutarla a causa dei precedenti di Jalics, che non menziona. La terza è una breve nota dello stesso funzionario in cui racconta che Jalics e Yorio hanno legami con i guerriglieri e rapporti con le donne, che hanno disobbedito ai loro superiori e turbano la disciplina. E conclude che quelle informazioni gli vennero fornite dallo stesso padre Bergoglio, che come i Borboni reinsediati in Francia, non dimenticò né apprese nulla. Il suo pontificato si è aperto con una serie di gesti, di umiltà e rettitudine, come il suo ordine a Santa Maria Maggiore perché non si faccia più vedere il cardinale statunitense accusato di proteggere i preti pedofili di Boston, Bernard Law. Ma anche in Argentina ci sono preti pedofili, e Bergoglio ha protetto Julio César Grassi, condannato a 15 anni di carcere ma ancora in libertà per le pressioni della Chiesa. Come presidente della Conferenza episcopale, l’attuale papa affidò al giurista Marcelo Sancinetti l’incarico di scrivere un libro che proclama Grassi “innocente” delle imputazioni che gli vennero formulate per “abuso sessuale e corruzione di minorenni”, e nega persino che esista l’abuso sessuale infantile come tale, che equipara con i processi per stregoneria del Medioevo. Forse il problema di Francesco non è con il cardinale Law, ma con la legge che punisce la pedofilia.

Cipro vota contro la tassa sui conti. Berlino: “Se è così niente prestito"

Il Parlamento di Nicosia si oppone alla misura proposta dall'Europa. Ma la Germania insiste: senza l'approvazione, niente fondi. All'esterno del Palazzo i manifestanti gridano slogan contro Merkel, proprio come è accaduto in Grecia e Spagna

Cipro vota contro la tassa sui conti. Berlino: “Se è così niente prestito”

Cipro uno Germania zero: dibattito fiume nel Parlamento di Nicosia, chiamato ad esprimersi su una misura sui generis, ovvero la proposta europea di tassare i conti correnti nell’isola all’estremo sud del Mediterraneo al fine di prestare dieci miliardi di euro alle banche in apnea. Con all’esterno la protesta della folla di cittadini indignati per un intervento definito “peggio dell’invasione turca del 1974” e con un foltissimo gruppo di giornalisti esteri accorsi oggi nell’isola. Ma da Berlino il ritornello non cambia: senza voto favorevole niente maxi prestito. Infatti il governo tedesco ha messo in guardia Nicosia da ulteriori ritardi e da una possibile bocciatura dell’approvazione delle condizioni utili a ottenere il pacchetto di salvataggio. C’è quindi grande incertezza ora su come si evolverà la situazione all’interno dell’isola. I governi europei non possono rischiare che la crisi finanziaria di Cipro scateni il panico nell’Eurozona, ma è anche chiaro che i Paesi membri non sono disposti ad aumentare il prestito, perché Nicosia non sarebbe in grado di pagare.
Tutti i partiti hanno votato contro la misura di tassare i conti correnti, tranne quello di governo, il Disy. La sessione è stata preceduta da una riunione dei leader di partito con le dimissioni del ministro dell’economia Sarrys, consegnate nelle mani del premier poco prima di partire per Mosca, che pare siano state respinte. Nella capitale discuterà dell’acquisto da parte russa di due banche cipriote per la simbolica cifra di un euro. Tra l’altro un membro dei conservatori, Stella Kyriakides, era assente per il matrimonio di suo figlio in Argentina e non è rientrata per il voto, suscitando le ire del proprio gruppo parlamentare. Anastasiadis ha assicurato, un attimo prima di entrare in aula, che avrebbe rispettato qualsiasi risultato, e parlando alla televisione svedese ha detto che il parlamento avrebbe respinto la proposta in quanto palesemente contraria agli interessi di Cipro. Alla domanda su come gestire la situazione, ha detto che il governo ha in programma un piano B, anche se non ha offerto dettagli in merito. Indiscrezioni parlano di un vero e proprio “rovescio della medaglia” per evitare la debacle come accaduto in Grecia con la troika. In molti giurano che il premio nobel cipriota Christopher Pissarides, dato per futuro ministro dell’Economia, possa essere il regista di una sorta di memorandum più morbido per non danneggiare Cipro da un lato senza innervosire i tedeschi dall’altro. Tuttavia al punto in cui siamo, ragiona un funzionario del ministero a voce alta, questo è considerato come il male minore. Il piano sarà elaborato in queste ore e posto all’attenzione degli euroburocrati.
Nel frattempo una nuova riunione dei leader politici è convocata per mercoledì alle ore 9 presieduta dal grande sconfitto del voto, il neo presidente cipriota filomerkeliano Nikos Anastasiadis. Che, poco prima del voto, ha postato su facebook un appello disperato per giustificare la misura chiesta dall’Ue: “Condivido pienamente i sentimenti spiacevoli causati da una decisione difficile e dolorosa. È per questo che continuo a dare battaglia alle decisioni dell’Eurogruppo. E’ ovvio che l’opzione più indolore per me sarebbe la più dolorosa per il paese e per la gente. Non è facile. Ma io ho fiducia assoluta nella determinazione dei ciprioti per una svolta collettiva e responsabile”. Insomma una soluzione certamente dolorosa, in termini di costo politico, ma utile al paese. Le stesse parole usate nel novembre scorso dal premier greco Samaras, anch’egli conservatore, gradito alla Merkel e al circuito Bildenberg, quando il parlamento di Atene votò sì al terzo memorandum della troika mentre in piazza Syntagma montava la protesta e sotto la pioggia si indignava anche l’anziano compositore Mikis Theodorakis (in questi giorni ricoverato per un’infezione polmonare). Ma all’esterno del parlamento di Nicosia i manifestanti hanno gridato slogan come “Merkel fuori del nostro paese”, “non siamo numeri ma persone”. Le stesse parole delle piazze greche e spagnole.

sabato 16 marzo 2013

Cipro, accordo su piano salvataggio. Deciso prelievo forzoso sui conti dei cittadini

I ministri delle Finanze dell’Eurozona in cambio di un piano di aiuti per circa 10 miliardi di euro al governo di Nicosia hanno deciso un pesante prelievo sui depositi bancari apri al 9,9% su tutti i depositi superiori a 100.000 euro e del 6,75% per quelli inferiori. I ciprioti in fila agli sportelli per prelevare contanti ai bancomat

Cipro, accordo su piano salvataggio. Deciso prelievo forzoso sui conti dei cittadini
Brusco risveglio stamani per i cittadini di Cipro quando le radio hanno annunciato l’accordo raggiunto in nottata dai ministri delle Finanze dell’Eurozona che prevede, in cambio di un piano di aiuti per circa 10 miliardi di euro al governo di Nicosia, un pesante prelievo sui depositi bancari. Dalle prime ore del giorno, lunghe file di cittadini, a piedi e in auto, si sono create davanti alle succursali delle banche che dispongono di uno sportello automatico per effettuare prelievi di contante.
La prima reazione della gente è stata di incredulità poi di rabbia, sia per le tante promesse “che i risparmi non sarebbero mai stati toccati” fatte sia dal vecchio sia dal nuovo governo, ma anche perché questa è la prima volta che i correntisti bancari di un Paese vengono colpiti direttamente dalle misure di un piano di aiuti europeo. Una tale misura infatti non è mai stata presa nei casi di Spagna, Grecia, Irlanda e Portogallo. Dal prelievo sui depositi bancari – molti dei quali si ritiene appartengano a cittadini russi non residenti – sono attesi introiti per circa 5,8 miliardi di euro. Il prelievo consisterà in un’imposta unica del 9,9% su tutti i depositi superiori a 100.000 euro e del 6,75% per quelli inferiori. Le banche effettueranno i prelievi martedì mattina, dopo la festività religiosa e bancaria del cosiddetto ‘Lunedì pulito’, l’equivalente ortodosso del Mercoledì delle Ceneri.
Anche le banche cooperative, che in genere il sabato sono aperte, hanno deciso di chiudere gli sportelli a causa dell’enorme afflusso di clienti che volevano prelevare il denaro in contanti e chiudere i propri conti. Il governo cipriota ha dato inoltre disposizioni affinché le banche blocchino durante questo fine settimana la possibilità di effettuare trasferimenti di denaro via internet.
Il prelievo sui depositi bancari previsto dal piano di aiuti per Cipro porterà 5,8 miliardi di euro, spiega il presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem. “La situazione di Cipro è unica” in ragione del suo “settore bancario ipertrofico”, ha spiegato il presidente dell’Eurogruppo, ed è per questo che “abbiamo ritenuto giustificato il tassare i depositi”, ha sostenuto.
Il piano di salvataggio da 10 miliardi di euro concordato con Ue ed Fmi è l’opzione “meno onerosa” per Cipro ha detto la notte scorsa ai giornalisti il ministro delle Finanze cipriota Michael Sarris. “C’era una seria minaccia alla stabilità del nostro sistema bancario e finanziario. Non è un esito piacevole, ma crediamo che sia la meno onerosa, se paragonata con altri possibili esiti”. Secondo il ministro, “molti più soldi avrebbero potuto essere persi in una bancarottadel sistema bancario o del Paese”. Sottolineato che l’accordo permette di evitare “tagli ai salari ed alle pensioni”, Sarris ha infine auspicato che il pacchetto possa “contribuire a segnare un nuovo inizio per Cipro”. Va inoltre osservato che nelle banche cipriote hanno depositi molti cittadini greci, che hanno trasferito lì i loro soldi dalle banche greche nel periodo in cui si temeva il default ad Atene. Dalla Bce precisano che tali disposizioni non si applicheranno alle società controllate ma, secondo il Cipro News Agency (CNA), tra i depositanti dell’isola è già panico. Oggi la vulgata a Cipro da parte di tutta la stampa è: se ci devono prestare dei soldi ma poi li prendono dai nostri conti bancari, che razza di aiuto è?
Il numero uno del Fmi, Christine Lagarde fa sapere che il suo istituto è pronto ad approvare un contributo, ma senza specificare l’ammontare degli aiuti. “Crediamo che la proposta sia sostenibile per l’economia di Cipro. Il Fmi sta considerando la proposta di un contributo al pacchetto di finanziamenti. L’esatto ammontare – aggiunge – non è ancora specificato, ci vorrà del tempo per decidere”.