domenica 13 ottobre 2013

Milano, da rifare il processo al proconsole di Cosa nostra. E il boss torna in libertà.

A Milano la Procura antimafia indaga tanto e spesso arresta. Non sempre, però, le inchieste appaiono così robuste da reggere i tre gradi di giudizio. E’ successo con la ‘ndrangheta di Buccinasco, le cui bocciature e rinvii, hanno liberato Domenico Papalia, figlio di Antonio, influente boss calabrese. Ma è successo, recentemente, anche con i clan siciliani. E così la prima sezione penale della Cassazione ha annullato con rinvio a nuovo processo la condanna a dieci anni (con rito abbreviato) per estorsione aggravata dal metodo mafioso di uno dei più importanti e storici proconsoli di Cosa nostra a Milano. Risultato: dal maggio2013, Ugo Martello, finito in carcere nel 2009 per l’inchiesta Metallica, ritenuto il referente della famiglia mafiosa della Bolognetta comandata per anni da Giuseppe Bono, è tornato a vivere nel suo appartamento milanese vicino a corso Venezia.

Per anni la sua identità è sfuggita alle intercettazioni. Gli investigatori si sono spaccati la testa nel capire chi fosse quel tale Tanino o quel certo dottor Filippi oppure quel signore che, negli anni Ottanta, in via Larga 13 gestiva la Citam srl e si faceva chiamare Eugenio Apicella. Alla fine il mistero è stato svelato e Ugo Martello è entrato nelle informative delle procure di mezza Italia, nato a Ustica il 24 febbraio 1940. Martello, racconterà Tommaso Buscetta, sotto la Madonnina ha rappresentato per anni uno dei più ascoltati proconsoli di Cosa nostra. Era l’epoca dei rapporti pericolosi tra i boss e gli imprenditori milanesi. In via Larga 13 ci passavano tutti: da Gerlando Alberti fino a Gaetano Fidanzati e Stefano Bontate. In zona si faceva vedere anche un tale Marcello Dell’Utri, non ancora politico, ma uomo della Edilnord di Silvio Berlusconi. In carcere, Martello, ci finisce per il blitz della Notte di San Valentino. E’ il 14 febbraio 1983, e a Milano, è già personaggio noto. In riva al Naviglio infatti sale da latitante nel 1965. Arriveranno i processi e gli anni di carcere. Arriverà il silenzio della cronaca. Nel 2003 la scarcerazione definitiva.

Nel 2006, poi, la procura di Milano, mette le mani su una bella batteria di mafiosi. Calabresi, armati, violenti e voraci. Li comanda Giuseppe Onorato che dirige il tutto da un bel bar di via Porpora. Nell’inchiesta c’è di tutto: estorsioni, riciclaggio, aggressioni, contatti e alleanze. E’ l’indagine Metallica, autentico romanzo criminale alla milanese. Il nome di Martello spunta più volte. Lui è uno dei “siciliani”. Sono in due. C’è Tanino e poi Luigi Bonanno, palermitano vicino ai boss Nino Rotolo e Gianni Nicchi.

Che ci fanno in mezzo al gruppo dei calabresi? Secondo la procura prima e il tribunale di Milano poi fanno da mediatori. Mediano cioè tra “due zanze” come Michele Mastropasqua e Antonio Di Chio e il boss dei boss Pepè Onorato. Il padrino non ha preso bene la sparizione di un bel po’ di denaro da certi conti correnti. Quello, ragioneranno i magistrati, è il frutto di una colossale estorsione a un imprenditore del metallo, tale Giancarlo Ongis, lombardo, bergamasco con l’abitudine delle fatture false e dei fondi neri. I due zanza giocano su questo e lo ricattano. Ongis paga (sempre attraverso false fatture) oltre un milione di euro in diverse tranche. Mastropasqua e Di Chio incassano e non versano il dovuto a Onorato. Il boss non ci sta e reagisce in modo violento. Per questo i due si rivolgono ai siciliani. Chiedono protezione. E in cambio, ragiona l’accusa, pagano. Reato: estorsione. Questo, però, è già il secondo tempo della vicenda. Procura e tribunale, infatti, ritengono Martello (e Bonanno) ideatore dell’estorsione a Ongis. E il capo 1 dell’imputazione. Nel 2009 la squadra Mobile lo arresta nella sua bella cosa in zona Porta Venezia. Deve scontare dieci anni. Quando suonano, il boss sta facendo colazione con la moglie.

Il processo finisce in Cassazione. E qui, i supremi giudici, smontano, pezzo per pezzo, la tesi dell’accusa. La sentenza viene depositata nel maggio 2013. E da quel momento Ugo Martello è tornato in libertà. I giudici della prima sezione penale cancellano, fin da subito, il capo 1. Martello non ha organizzato l’estorsione a Ongis. Tanto più che anche Bonanno è stato assolto per la medesima imputazione durante il processo ordinario. A supportare questa tesi, le parole di Luigi Cicalese, pentito, e gola profonda per tutta l’indagine. “Martello – dice – è arrivato dopo”. Vale a dire quando Pepè Onorato rivuole i soldi dai due pugliesi. Eppure nemmeno in questo caso sembra reggere la sentenza d’Appello. Martello come protettore, ragiona la Cassazione, sembra avere avuto “solo una condotta omissiva”. Per dimostrare la responsabilità nell’estorsione di Onorato ai “due zanza” bisogna dimostrare che Martello ebbe una condotta attiva. E questo, ragionano i giudici, non può essere dimostrato dalla sola frase proferita da Martello ai due di “mettersi una mano sulla coscienza”. Tutto da rifare.

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