giovedì 18 luglio 2013

Uruguay: no al tabacco, sì alla canapa

L’Uruguay riafferma la sua lotta antitabacco e sfida la multinazionale statunitense Philip Morris. Il Paese sudamericano ha infatti accettato senza patemi la decisione del Banco Mondiale che le ha imposto un arbitrato internazionale per risolvere il contenzioso aperto con il colosso del tabacco Usa che lo accusa di aver danneggiato i suoi affari con le ultime, rigide, misure contro il fumo. La decisione del Centro Internazionale per il Regolamento delle Controversie relative ad Investimenti (CIADI), organo alle dipendenze del Banco Mondiale, era ampiamente attesa da entrambe le parti in causa e apre l’opportunità di un leading case, un caso emblematico a livello mondiale che potrebbe elevare l’Uruguay a simbolo della lotta antitabacco.
«È l’occasione giusta per creare un precedente sul tema, considerando che non esiste giurisprudenza in merito» ha dichiarato all’Agenzia France Press, poche ore dopo la diffusione della notizia, l’ex Ministro degli Esteri uruguayano Didier Opertti.

Philip Morris aveva presentato la sua denuncia formale nel 2010 reclamando, in particolare, i danni economici ricevuti dall’estensione fino al 80% della superficie dei pacchetti delle immagini sui danni potenziali del fumo. Secondo la multinazionale, la normativa avrebbe così violato parte del Trattato Bilaterale di investimento tra Uruguay e Svizzera, Paese in cui attualmente ha sede legale la compagnia. Il nodo, quindi, ruota principalmente attorno alla decisione che adotterà il CIADI, che dovrà decidere se inclinarsi verso l’applicazione del convegno bilaterale, come vorrebbe la Philip Morris, o della convenzione universale, che privilegia la salvaguardia della salute. In questo senso potrebbero entrare in gioco le cosiddette ’figure di diritto internazionale’, ovvero quelle norme che vanno aldilà della volontà dei singoli Stati e non possono essere ignorate o modificate, come la salute, appunto.

Ed è stato proprio su quel tasto che è andata a battere anche la Ministro della Salute, Susana Muñiz, affermando in numerose interviste che «nessuna politica di diritto commerciale può essere posta al di sopra di una politica dei diritti umani». Un principio che sicuramente è molto chiaro anche alla stessa Philip Morris, che con la sua richiesta di arbitrato internazionale sta cercando di evitare che il precedente venga esportato in altri Paesi e lo fa denunciando il trattamento ricevuto in Uruguay come una negazione dei propri diritti. Secondo la portavoce della compagnia, Julie Soderlund, la decisione del CIADI di dirimere la questione «obbligherà il Paese sudamericano ad assumersi le sue responsabilità, che aveva cercato di evitare fino ad ora».

Ma dire che Montevideo abbia cercato di sottrarsi alle sue responsabilità appare, conoscendo la storia civile del Paese, quantomeno azzardato. La crociata contro il tabacco era cominciata nel 2006 con un decreto dell’allora Presidente Tabaré Vázquez che proibiva il fumo in tutti i luoghi pubblici chiusi del Paese. Era il primo caso in America latina e il quinto nel mondo. Da allora, le misure adottate dall’esecutivo sul tema, sono aumentate costantemente, anche dopo la fine del mandato di Vázquez. Da quel solco, infatti, si è arrivati all’ultima proposta di legge, presentata dall’attuale Governo di José (‘Pepe’) Mujica, che proibisce totalmente la pubblicità, la promozione e il patrocinio dei prodotti di tabacco. Una linea riconosciuta e applaudita negli ultimi anni anche dall’Organizzazione Panamericana della Salute (OPS), che lo scorso maggio aveva esortato gli altri Paesi della regione a seguire l’esempio.

Un altro tema strettamente correlato a quello del tabacco, intanto, è tornato al centro del dibattito pubblico uruguayano; si tratta della proposta di legge con cui l’esecutivo vuole legalizzare la coltivazione e la vendita di marijuana. La commissione parlamentare che studiava il caso, infatti, ha dato il via libera al progetto di legge, che verrà ora presentato alla Camera dei Deputati dove, secondo gli analisti, ha i numeri per l’approvazione definitiva. «Visti gli accordi tra le forze politiche credo di poter dire che abbiamo i voti per l’approvazione definitiva della legge» ha dichiarato alla televisione locale il Deputato socialista Julio Bango, confermando che l’idea della coalizione di governo è di presentare la proposta al senato a fine agosto o a inizio settembre.
Se la legge dovesse essere ratificata, nel Paese si potranno vendere fino a 30 grammi di marijuana attraverso degli speciali club privati. Un privilegio riservato a tutti coloro che si iscriveranno ad una apposita lista di consumatori ma non valido per gli stranieri, che potrebbero creare un vero e proprio narcoturismo.

Sulla questione era intervenuta pubblicamente, alcuni mesi fa, anche la first lady e Senatrice di sinistra Lucia Topolansky, che aveva sottolineato l’alto valore della misura nella lotta al narcotraffico. «Conosciamo bene il dramma che vive il Messico» aveva detto la Topolansky «e non vogliamo lo stesso scenario per il nostro paese». Come nel caso delle controversia con Philip Morris, insomma, l’Uruguay sceglie la strada della difesa dei diritti umani. Nella questione della Cannabis, in particolare, il Paese segue le positive esperienze europee di Spagna, Portogallo e soprattutto Olanda. Del resto, come dichiarato dallo stesso Mujica in una recente intervista, la cannabis «merita più rispetto e una conoscenza più approfondita». Perché «quello che mi spaventa», come continua a ripetere pubblicamente il Presidente, «è il narcotraffico, non la droga».

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