A Milano la Procura antimafia indaga tanto e spesso
arresta. Non sempre, però, le inchieste appaiono così robuste da reggere
i tre gradi di giudizio. E’ successo con la ‘ndrangheta di Buccinasco, le cui bocciature e rinvii, hanno liberato Domenico Papalia, figlio di Antonio, influente boss calabrese. Ma è successo, recentemente, anche con i clan siciliani. E così la prima sezione penale della Cassazione
ha annullato con rinvio a nuovo processo la condanna a dieci anni (con
rito abbreviato) per estorsione aggravata dal metodo mafioso di uno dei
più importanti e storici proconsoli di Cosa nostra a Milano. Risultato:
dal maggio2013, Ugo Martello, finito in carcere nel 2009 per l’inchiesta Metallica, ritenuto il referente della famiglia mafiosa della Bolognetta comandata per anni da Giuseppe Bono, è tornato a vivere nel suo appartamento milanese vicino a corso Venezia.
Per
anni la sua identità è sfuggita alle intercettazioni. Gli investigatori
si sono spaccati la testa nel capire chi fosse quel tale Tanino o quel certo dottor Filippi oppure quel signore che, negli anni Ottanta, in via Larga 13 gestiva la Citam srl e si faceva chiamare Eugenio Apicella.
Alla fine il mistero è stato svelato e Ugo Martello è entrato nelle
informative delle procure di mezza Italia, nato a Ustica il 24 febbraio
1940. Martello, racconterà Tommaso Buscetta, sotto la
Madonnina ha rappresentato per anni uno dei più ascoltati proconsoli di
Cosa nostra. Era l’epoca dei rapporti pericolosi tra i boss e gli
imprenditori milanesi. In via Larga 13 ci passavano tutti: da Gerlando Alberti fino a Gaetano Fidanzati e Stefano Bontate. In zona si faceva vedere anche un tale Marcello Dell’Utri, non ancora politico, ma uomo della Edilnord di Silvio Berlusconi. In carcere, Martello, ci finisce per il blitz della Notte di San Valentino.
E’ il 14 febbraio 1983, e a Milano, è già personaggio noto. In riva al
Naviglio infatti sale da latitante nel 1965. Arriveranno i processi e
gli anni di carcere. Arriverà il silenzio della cronaca. Nel 2003 la
scarcerazione definitiva.
Nel 2006, poi, la
procura di Milano, mette le mani su una bella batteria di mafiosi.
Calabresi, armati, violenti e voraci. Li comanda Giuseppe Onorato che dirige il tutto da un bel bar di via Porpora.
Nell’inchiesta c’è di tutto: estorsioni, riciclaggio, aggressioni,
contatti e alleanze. E’ l’indagine Metallica, autentico romanzo
criminale alla milanese. Il nome di Martello spunta più volte. Lui è uno
dei “siciliani”. Sono in due. C’è Tanino e poi Luigi Bonanno, palermitano vicino ai boss Nino Rotolo e Gianni Nicchi.
Che
ci fanno in mezzo al gruppo dei calabresi? Secondo la procura prima e
il tribunale di Milano poi fanno da mediatori. Mediano cioè tra “due
zanze” come Michele Mastropasqua e Antonio Di Chio e il
boss dei boss Pepè Onorato. Il padrino non ha preso bene la sparizione
di un bel po’ di denaro da certi conti correnti. Quello, ragioneranno i
magistrati, è il frutto di una colossale estorsione a un imprenditore
del metallo, tale Giancarlo Ongis, lombardo, bergamasco
con l’abitudine delle fatture false e dei fondi neri. I due zanza
giocano su questo e lo ricattano. Ongis paga (sempre attraverso false
fatture) oltre un milione di euro in diverse tranche. Mastropasqua e Di
Chio incassano e non versano il dovuto a Onorato. Il boss non ci sta e
reagisce in modo violento. Per questo i due si rivolgono ai siciliani.
Chiedono protezione. E in cambio, ragiona l’accusa, pagano. Reato:
estorsione. Questo, però, è già il secondo tempo della vicenda. Procura e
tribunale, infatti, ritengono Martello (e Bonanno) ideatore
dell’estorsione a Ongis. E il capo 1 dell’imputazione. Nel 2009 la
squadra Mobile lo arresta nella sua bella cosa in zona Porta Venezia.
Deve scontare dieci anni. Quando suonano, il boss sta facendo colazione
con la moglie.
Il processo finisce in
Cassazione. E qui, i supremi giudici, smontano, pezzo per pezzo, la tesi
dell’accusa. La sentenza viene depositata nel maggio 2013. E da quel
momento Ugo Martello è tornato in libertà. I giudici della prima sezione
penale cancellano, fin da subito, il capo 1. Martello non ha
organizzato l’estorsione a Ongis. Tanto più che anche Bonanno è stato
assolto per la medesima imputazione durante il processo ordinario. A
supportare questa tesi, le parole di Luigi Cicalese,
pentito, e gola profonda per tutta l’indagine. “Martello – dice – è
arrivato dopo”. Vale a dire quando Pepè Onorato rivuole i soldi dai due
pugliesi. Eppure nemmeno in questo caso sembra reggere la sentenza
d’Appello. Martello come protettore, ragiona la Cassazione, sembra avere
avuto “solo una condotta omissiva”. Per dimostrare la responsabilità
nell’estorsione di Onorato ai “due zanza” bisogna dimostrare che
Martello ebbe una condotta attiva. E questo, ragionano i giudici, non
può essere dimostrato dalla sola frase proferita da Martello ai due di
“mettersi una mano sulla coscienza”. Tutto da rifare.
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