L’Uruguay riafferma la sua lotta antitabacco e sfida la multinazionale statunitense Philip Morris.
Il Paese sudamericano ha infatti accettato senza patemi la decisione
del Banco Mondiale che le ha imposto un arbitrato internazionale per
risolvere il contenzioso aperto con il colosso del tabacco Usa che lo
accusa di aver danneggiato i suoi affari con le ultime, rigide, misure
contro il fumo. La decisione del Centro Internazionale
per il Regolamento delle Controversie relative ad Investimenti (CIADI),
organo alle dipendenze del Banco Mondiale, era ampiamente attesa da
entrambe le parti in causa e apre l’opportunità di un leading case, un caso emblematico a livello mondiale che potrebbe elevare l’Uruguay a simbolo della lotta antitabacco.
«È l’occasione giusta per creare un precedente sul tema, considerando
che non esiste giurisprudenza in merito» ha dichiarato all’Agenzia
France Press, poche ore dopo la diffusione della notizia, l’ex Ministro
degli Esteri uruguayano Didier Opertti.
Philip Morris aveva presentato la sua denuncia formale nel
2010 reclamando, in particolare, i danni economici ricevuti
dall’estensione fino al 80% della superficie dei pacchetti delle
immagini sui danni potenziali del fumo. Secondo la multinazionale, la
normativa avrebbe così violato parte del Trattato Bilaterale di
investimento tra Uruguay e Svizzera, Paese in cui attualmente ha sede
legale la compagnia. Il nodo, quindi, ruota principalmente attorno alla
decisione che adotterà il CIADI, che dovrà decidere se inclinarsi verso
l’applicazione del convegno bilaterale, come vorrebbe la Philip Morris, o della convenzione universale, che privilegia la salvaguardia della salute.
In questo senso potrebbero entrare in gioco le cosiddette ’figure di
diritto internazionale’, ovvero quelle norme che vanno aldilà della
volontà dei singoli Stati e non possono essere ignorate o modificate,
come la salute, appunto.
Ed è stato proprio su quel tasto che è andata a battere anche la Ministro della Salute, Susana Muñiz, affermando in numerose interviste che «nessuna politica di diritto commerciale può essere posta al di sopra di una politica dei diritti umani».
Un principio che sicuramente è molto chiaro anche alla stessa Philip
Morris, che con la sua richiesta di arbitrato internazionale sta
cercando di evitare che il precedente venga esportato in altri Paesi e
lo fa denunciando il trattamento ricevuto in Uruguay come una negazione
dei propri diritti. Secondo la portavoce della compagnia, Julie
Soderlund, la decisione del CIADI di dirimere la questione «obbligherà
il Paese sudamericano ad assumersi le sue responsabilità, che aveva
cercato di evitare fino ad ora».
Ma dire che Montevideo abbia cercato di sottrarsi alle sue
responsabilità appare, conoscendo la storia civile del Paese, quantomeno
azzardato. La crociata contro il tabacco era cominciata nel 2006 con un decreto dell’allora Presidente Tabaré Vázquez che
proibiva il fumo in tutti i luoghi pubblici chiusi del Paese. Era il
primo caso in America latina e il quinto nel mondo. Da allora, le misure
adottate dall’esecutivo sul tema, sono aumentate costantemente, anche
dopo la fine del mandato di Vázquez. Da quel solco, infatti, si è
arrivati all’ultima proposta di legge, presentata dall’attuale Governo
di José (‘Pepe’) Mujica, che proibisce totalmente la pubblicità, la
promozione e il patrocinio dei prodotti di tabacco. Una linea
riconosciuta e applaudita negli ultimi anni anche dall’Organizzazione
Panamericana della Salute (OPS), che lo scorso maggio aveva esortato gli
altri Paesi della regione a seguire l’esempio.
Un altro tema strettamente correlato a quello del tabacco, intanto, è
tornato al centro del dibattito pubblico uruguayano; si tratta della proposta di legge con cui l’esecutivo vuole legalizzare la coltivazione e la vendita di marijuana. La commissione parlamentare che studiava il caso, infatti, ha dato il
via libera al progetto di legge, che verrà ora presentato alla Camera
dei Deputati dove, secondo gli analisti, ha i numeri per l’approvazione
definitiva. «Visti gli accordi tra le forze politiche credo di poter dire che abbiamo i voti per l’approvazione definitiva della legge» ha dichiarato alla televisione locale il Deputato socialista Julio Bango, confermando che l’idea della coalizione di governo è di presentare la proposta al senato a fine agosto o a inizio settembre.
Se la legge dovesse essere ratificata, nel Paese si potranno vendere fino a 30 grammi di marijuana attraverso degli speciali club privati. Un
privilegio riservato a tutti coloro che si iscriveranno ad una apposita
lista di consumatori ma non valido per gli stranieri, che potrebbero
creare un vero e proprio narcoturismo.
Sulla questione era intervenuta pubblicamente, alcuni mesi fa, anche la first lady e Senatrice di sinistra Lucia Topolansky, che aveva sottolineato l’alto valore della misura nella lotta al narcotraffico. «Conosciamo bene il dramma che vive il Messico» aveva detto la Topolansky «e non vogliamo lo stesso scenario per il nostro paese». Come nel caso delle controversia con Philip Morris, insomma, l’Uruguay sceglie la strada della difesa dei diritti umani.
Nella questione della Cannabis, in particolare, il Paese segue le
positive esperienze europee di Spagna, Portogallo e soprattutto Olanda.
Del resto, come dichiarato dallo stesso Mujica in una recente
intervista, la cannabis «merita più rispetto e una conoscenza più
approfondita». Perché «quello che mi spaventa», come continua a ripetere pubblicamente il Presidente, «è il narcotraffico, non la droga».
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